L’Italia di Berlusconi non è l’Egitto, ma il suo futuro è molto cupo

di Marco Benedetto
Pubblicato il 14 Febbraio 2011 - 07:59| Aggiornato il 15 Febbraio 2011 OLTRE 6 MESI FA

Ma intanto, mentre l’Italia scende in piazza, Savonarola accatasta la legna, il marchio dell’infamia si appresta a essere impresso, Sant’Agostino, stanco di una vita di dissipazione, ci spiega la meraviglia della castità, negli altri paesi si pensa a come uscire finalmente dalla crisi economica, come risanare i debiti accumulati nei paesi europei più deboli in mezzo secolo di lotta al comunismo e c’è quasi da pensare che tutto questo can can su puttane e minorenni l’abbia escogitato proprio la mente diabolica del faraone per allontanare i nostri pensieri dall’incubo che incombe su di noi: una stangata da cinquanta miliardi all’anno per i prossimi dieci anni, con vendita o svendita di altri pezzi del tesoro pubblico con l’illusione di ridurre i debiti, tasse sempre più alte, creazione zero degli unici posti che ci piacciono: quelli garantiti sempre, cioè quelli pubblici.

Per l’Europa si aggirano funzionari del Fondo Monetario e altre istituzioni finanziarie internazionali che, certo tutti degnissime persone, hanno ormai acquisito una certa fama di avvoltoi e di becchini. Quando un paese del terzo mondo ha subito le loro imposizioni, a cominciare dalla ex Unione Sovietica, gliene è venuta sciagura, quando li ha evitati, come la Cina, ne è derivata una florida crescita. Ora questi gentiluomini, che sono un po’ le avanguardie dei grandi capitali internazionali e delle grandi banche d’affari, hanno preso di mira la Grecia, ordinando al suo governo privatizzazioni per 50 miliardi di dollari, cui peraltro è stato risposto in malo modo.

L’Italia non ha molto più da privatizzare e ha anche la contraddittoria esperienza di quelle già fatte negli anni ’90. Alla fine il prezzo l’hanno continuato a pagare i cittadini: prima, per l’inefficienza del monopolio statale, poi per dare adeguato ritorno al crescente prezzo pagato da nuovi azionisti del rinnovato monopolio.

Allora il dubbio viene se un cittadino qualunque, uno di tutti noi, possa mai sperare veramente di vivere in un sistema dove ci si preoccupa di lui, come cittadino appunto, e non come pecora da tosare: da parte del faraone e dei suoi agenti, da parte dei nuovi eleganti civili presentabili anonimi ma altrettanto voraci padroni.