Pd, Matteo Renzi mina vagante? Letta e i suoi temono: vuole farci cadere

di Daniela Lauria
Pubblicato il 30 Maggio 2013 - 09:17| Aggiornato il 3 Novembre 2014 OLTRE 6 MESI FA
pd, matteo renzi mina vagante? letta e i suoi temono: vuole farci cadere

Pd, Matteo Renzi mina vagante? Letta e i suoi temono: vuole farci cadere

ROMA – Matteo Renzi promette di restare al fianco di Enrico Letta ma, in realtà, nonostante i tentativi di mediazione del governo, sul ritorno al Mattarellum i renziani hanno messo in seria difficoltà il premier proprio nel giorno dell’avvio all’iter sulle riforme. ”Il governo non faccia melina”, incalza il sindaco di Firenze a fine giornata difendendo il suo deputato, Roberto Giachetti. Che quello delle larghe intese non si trasformi in un governo delle “lunghe attese”. Gioca con le parole Renzi e, non ne fa mistero, si tiene in allenamento per il prossimo giro di corsa per Palazzo Chigi.

La sensazione è che Robetto Giachetti, che sulla riforma elettorale ci ha perso l’appetito coi suoi scioperi della fame estremi nella scorsa legislatura, abbia in realtà fatto da ariete dentro la maggioranza. Un paio di incornate per spronare Palazzo Chigi e accelerare sulle riforme, perché Renzi ha fretta di tornare alle urne. Di vero e proprio duello tra il sindaco e il premier non si può parlare, ma è nelle cose. Renzi a fine giornata bacchetta il premier per “eccesso di democristianeria”. “Dai ragazzi, lavorate… Non ne posso più dei piagnoni, diamoci una smossa! Letta è una persona seria, ma usciamo dalla sabbia mobile che sta bloccando tutto… I politici devono smetterla di giocare al Conte zio dei Promessi Sposi, con la logica del sopire e troncare”.

E i suoi oppositori non ci mettono tanto a leggere tra le righe. “Renzi vuole far cadere il governo“, è l’interpretazione dei lettiani e di tutti coloro che, nel Pd, tifano per le larghe intese. Letta dal canto suo teme che mettendo il carro della legge elettorale davanti ai buoi il governo possa deragliare, ma Renzi sminuisce la vicenda a mera “tecnicalità parlamentare”. Intanto però comincia a sparare sul Pd: il governo, a cominciare dall’Imu, finora “ha messo a segno le richieste del centrodestra”. Poi non si esime dal rinfacciare a Bersani “l’arroganza con cui voleva smacchiare il giaguaro”.

Infine uno scambio freddo di sms tra i due: “Non c’entro niente”, scrive il sindaco. “La mozione però è sbagliata”, risponde il premier. Certo è che il Pd, appena uscito da un turno delle amministrative più che positivo, appare di nuovo un accampamento di tribù litigiose.

E’ vero a fine giornata, i renziani si sono tatticamente ritirati, lasciando il povero Giachetti solo in compagnia dei Cinque Stelle. Ma il premier teme altre repliche, nuovi problemi e soprattutto sa che Matteo Renzi non mollerà facilmente la presa. Il governo aveva intuito già nei giorni scorsi i rischi e le insidie della mozione del deputato ex radicale e ora renziano. Il Pdl, ancora ieri nel vertice di maggioranza, aveva minacciato la tenuta dell’esecutivo se sul ritorno al Mattarellum si fossero create maggioranze variabili.

In realtà la battaglia di Giachetti non è solitaria: all’assemblea del gruppo Pd, convocato per tentare di rimetterlo in riga, parla a suo favore Paolo Gentiloni e scatta l’applauso dei deputati renziani. Alla conta finale, in 34, tra renziani e prodiani, chiedono di tenere in piedi la mozione nonostante il governo annunci il voto contrario. In aula, però, i deputati si allineano alla decisione del gruppo, evitando il deflagrare delle tensioni.

Letta determinato a percorrere la strada delle riforme sa di dovere fare i conti, oltre che sulle divergenze politiche, anche con le ambizioni personali dei vari attori politici in campo, tra i quali Matteo Renzi appunto. Ma pure sulle esigenze di visibilità delle varie aree del Pd già in agitazione pre-congressuale.

In realtà a conti fatti gli unici a battere in ritirata sulla mozione Giachetti sono stati proprio i democratici di fede renziana. Un altra botta è arrivata da Rosy Bindi che ha raccolto 44 firme in calce a un documento di critica alla mozione di maggioranza: bindiani, dalemiani e prodiani, insieme a Pippo Civati, Laura Puppato e Walter Tocci. Un’altra fronda di allergici alle “divergenze parallele”, come le chiama Gero Grassi.