Primarie: polemica Follini – Ceccanti

Pubblicato il 27 Gennaio 2010 - 11:59 OLTRE 6 MESI FA

Il Pd è lacerato dalle primarie e anche dagli evidenti e clamorosi errori scodellato dal segretario Pier Luigi Bersani e un battibecco via agenzie di stampa è divampato tra due esponenti di spicco del PD, entrambi senatori, Marco Follini e Stefano Ceccanti.

L’attacco a Follini è partito d Ceccanti, con una lapidaria dichiarazione: “Ha ragione Follini a dire che le primarie per il Pd non sono l’undicesimo comandamento, cioè un imperativo assoluto. Lo Statuto però le configura come una sorta di ottavo sacramento”.

Ha spiegato Ceccanti: “I sacramenti non debbono essere tutti utilizzati sempre e comunque, appartengono alla categoria degli strumenti. Non sono però strumenti qualsiasi, ma espressione della grazia. Nel nostro caso quella che ci deve provenire dagli elettori del Pd, che sperano di potercela elargire in abbondanza. Proprio come i sacramenti, prescindono dalla bontà di chi le indice e di chi si candida, agiscono ex opere operato, per il fatto stesso di compiersi”.

E ha lanciato l’ammonimento: “Questa è una lezione teologica che dovrebbe aver presente in queste ore soprattutto il Pd dell’Umbria, terra di Santi, che  quel sacramento aveva già solennemente indetto”.

Aveva però cominciato Follini con una intervista al Corriere della Sera e con la sua rubrica sul Riformista, criticando la linea di Bersani, del quale è peraltro sostenitore. Dopo  Emma Bonino nel Lazio e Nichi Vendola in Puglia, si è chiesto Follini, “alla fine di questo elenco di concessioni generose e/o di cedimenti inesorabili viene da chiedersi: e il Pd?”. Poi ha detto, senza mezzi termini: basta con le primarie, che “fanno deragliare il treno del Pd. Oggi il Pd è un fiocco di neve nella tormenta, così non può essere”.

Nell’intervista Follini ha anche denunciato la mancanza di un “baricentro” all’interno del Partito democratico e ha invitato a “darsi una linea e una direzione” nella consapevolezza che a muoversi si rischia, ma a restare fermi si rischia “molto di più”.

Ammettendo di non essere “un cultore del dio delle primarie” che “rischiano di condurci a un modello di partito leaderistico con qualche tratto plebiscitario, Follini si dice invece credente nel “gioco di squadra”.

Non è che Follini si dichiari neppure aderente al Verbo dalemiano della alleanza con l’Udc, e se lo dice Follini, che con Casini, quand’erano democristiani, formava coppia fissa, c’è da credergli: “Non è così facile. Non riusciremo a costruirla se resteremo tali e quali. Non possiamo pensare che l’Udc sia un soprammobile di pregio in una casa arredata di tutto punto e loro non possono pensare che il Pd guardi abbacinato al loro pendolarismo come i serpenti con gli incantatori della piazza di Marrakech”.

“Non sono un fan della vocazione maggioritaria, e non mi piace l’integralismo di partito. Ho concorso anche io, nel mio piccolo, a favorire una virata nella direzione delle alleanze, dato che l’illusione di far da soli non porta lontano. Ma mi permetto di dire – aggiunge – che c’é modo e modo. E che il modo che abbiamo scelto – o meglio, subìto – ha qualcosa di assai poco convincente. Abbiamo lungamente obiettato a Berlusconi che il suo era un ‘partito di plastica’. Analisi sbagliata e ingenerosa. Non vorrei che finissimo per opporgli un partito di ovatta. Soffice e leggero, mobile quanto basta, ma al fondo privo di una sua consistenza e soprattutto di una sua direzione”.

Nella doppia candidatura di Emma Bonino, nel Lazio sotto le bandiere del Pd e in Lombardia sotto le proprie, Follini vede “la metafora della nostra difficoltà”: “Le diamo a Roma un sostegno politicamente costosissimo  e non siamo in grado di esigere a Milano il piccolo gesto di un ritiro che sarebbe un atto di correttezza verso gli elettori oltre che di doverosa cortesia verso il partito che l’ha eletta”.

Note amare Follini coglie anche nel risultato pugliese. Chapeau a Vendola, scrive, che sconfigge il candidato Pd con i voti degli stessi iscritti “ma il risultato di questa sciarada é che noi e l’Udc, al netto della Basilicata colombiana, non abbiamo più  una sola alleanza a sud del Garigliano. Siamo alleati a Montecitorio e finiamo senza volerlo ai ferri corti nel Lazio, in Campania, in Calabria e ora anche in Puglia”.

Per Follini sarebbe “ingeneroso” caricare la croce sulle spalle di Bersani ma sarebbe “decisamente rovinoso fare finta di niente. Un conto è tracciare una rotta, un altro é esprimere desideri e velleità. La differenza l’abbiamo appena vista”.

Non ha perso l’occasione per dire la sua un altro autorevole esponente del Pd, l’ex ministro della Difesa Arturo Parisi:  “Vedo che Follini ci invita a farla finita con le primarie. Finalmente uno che dice quello che pensa. Mille volte preferibile a chi dice che alle primarie è stato favorevole da sempre, salvo poi lavorare per evitarle e rinviarle oltre il tempo massimo. Mille volte meglio rispetto a chi dice che le primarie le ha inventate il Pd, ma poi sostiene che vanno fatte solo se si sa già da prima il risultato. Mille volte meglio di chi dice che non sono una necessità ma solo una opportunità, col risultato che il partito si consuma in una discussione infinita sulla opportunità di farle. Questo sta facendo deragliare il partito: dire cose che non si credono, e fare male o non fare le cose che si dicono. Questo è il nostro tafazzismo: pensare ogni volta che sia meglio far finta di non vedere piuttosto che confrontarsi apertamente con la verità dei fatti. Lo ripeto all’indomani di una direzione nella quale si è preferito il silenzio. Lo dico alla vigilia della decisione relativa all’Umbria nella quale, così come nelle altre regioni che restano aperte, le nostre parole saranno messe ancora una volta alla prova dei fatti”.