Le reni alla Gelmini non le hanno spezzate, ma l’iniqua riforma la stanno fermando sul bagnasciuga: a grandissima maggioranza gli insegnanti di Torino e Napoli hanno stabilito e difeso la linea, la trincea del “no pasaran” innalzando la bandiera, lo slogan e il programma del “nessuno ci può valutare”. Sono orgogliosi di quanto stanno facendo gli insegnanti delle scuole di Torino e Napoli e del loro orgoglio riferisce con partecipata simpatia la cronaca de “La Repubblica”. A Torino su 118 scuole solo una ha “ceduto”, a Napoli solo cinque scuole su 625. Stanno costringendo la Gelmini ad una ritirata su terre e territori meno ostili e meno sindacalizzati. Perchè, raccontano loro e racconta la cronaca, dove c’è il sindacato la Gelmini non passa. Non passa l’oscena idea di pagare di più gli insegnanti migliori, addirittura una mensilità aggiuntiva ai più bravi.
Spiega Cristiana Martin, 43 anni, da venti anni insegnante di matematica al liceo delle scienze umane Regina Margherita di Torino: “Non ci spaventa essere valutati, ma non vorremmo partecipare a una gara che ci mette uno contro l’altro”. Chiaro, no? Valutazione sì, ma differenziazione tra l’uno e l’altro no. Resta imperscrutabile quale scienza umana e quale matematica consenta di valutare senza distinguere. Forse quella secondo la quale la valutazione deve essere eguale per tutti? Un pugno in faccia alla logica, ma la logica e anche il buon senso non sono materie di insegnamento. E un calcio negli stinchi alla decenza: non si fa prima a dire che si vogliono aumenti sì, ma eguali per tutti? Almeno non si bara con le parole. “Avremmo preferito un giudizio,una valutazione su un percorso didattico visto negli anni”. Sublime maquillage alla richiesta di restare all’anzianità come unico criterio di carriera retributiva. Caterina di Mauro, altra insegnante torinese: “Si lavora in collegialità, non si può esaltare l’individualismo”. Il todos caballeros vestito con i panni dell’equità sociale. E poi finalmente: “Non crediamo a un insegnante più bravo dell’altro”.
Questo insegnano gli insegnanti e pensano così di insegnare impegno e responsabilità sociale. Non vogliono essere valutati, non vogliono sia messo in discussione un diritto acquisito e conquistato. Come ogni altra corporazione, quella degli insegnanti con l’attenuante ma non con l’alibi della bassa retribuzione, quella dei docenti ha posto l’asticella della prestazione professionale al livello più basso, in modo che tutti la possano saltare. E altrettanto hanno fatto per gli studenti, con l’attiva complicità delle famiglie: asticella bassissima per il livello degli studi e quindi delle competenze acquisibili a scuola e all’università. Sono ormai decenni che tengono entrambi i talloni sull’asticella a livello raso terra. Hanno a suo tempo ributtato a mare il ministro progressista Berlinguer che voleva niente meno che dare aumenti in base al merito (ministro che porta sulla coscienza il dramma sociale di aver introdotto la laurea breve, il famoso tre più due). Figurarsi se ora non bloccheranno sul bagnasciuga lo sbarco della ministra berlusconiana Gelmini. E così la scuola sarà finalmente uguale, ugualmente inutile per tutti. Così come è diventata l’università: su un milione e mezzo di laureati italiani, solo duecentomila sono lauree piene e non “brevi”. Un milione e trecentomila si mettono in tasca il pezzo di carta triennale, buono solo per far statistisca e inutile non solo per decentemente lavorare, ma anche per minimamente sapere.