Trump, ex avvocato ammette: “Pagai le pornostar per non farle parlare”

di redazione Blitz
Pubblicato il 22 Agosto 2018 - 08:16 OLTRE 6 MESI FA
Trump, ex avvocato ammette: "Pagai le pornostar per non farle parlare"

Trump, ex avvocato ammette: “Pagai le pornostar per non farle parlare” (Foto Ansa)

WASHINGTON  –  Doppio guai per il presidente americano, Donald Trump. Il suo ex avvocato Michael Cohen ha ammesso di aver pagato, durante la campagna elettorale del tycoon, due ex pornostar, per comprarne il silenzio. [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] E ha detto di aver agito “in coordinamento e sotto la direzione di un candidato ad un incarico federale”. Allo stesso tempo in Virginia Paul Manafort, ex manager della campagna elettorale di Trump, è stato giudicato colpevole per otto capi di imputazione, di cui cinque per frode fiscale.

Una svolta giudiziaria in due inchieste diverse ed entrambe cruciali che potrebbero cambiare le sorti della presidenza Usa. Perché entrambi i casi – in mano alle autorità federali – potrebbero confluire nell’inchiesta sul Russiagate guidata dal procuratore speciale Robert Mueller che Trump taccia di essere una “caccia alle streghe”.

Intanto però è il suo ex fidatissimo avvocato, Michael Cohen, il ‘fixer’ che per anni ha fatto da scudo al tycoon, sempre pronto ad intervenire in sua difesa, che rischia adesso di inguaiare il presidente con la sua dichiarazione di colpevolezza, quando sottolinea di aver agito “in coordinamento e sotto la direzione di un candidato ad un incarico federale” nel riconoscere di aver violato le leggi sul finanziamento della campagna elettorale pagando due donne (la pornostar Stormy Daniels e l’ex coniglietta di Playboy Karen McDougal) che sostengono di aver avuto un affaire con il tycoon e parlando di sforzi coordinati per influenzare le elezioni. E già così è una bomba.

Nelle scorse settimane Cohen aveva segnalato a più riprese la sua disponibilità a cooperare con le autorità federali, mentre sembrava allargarsi la distanza dal presidente. Il mese scorso aveva ammesso alla Abc che Trump non è la sua priorità, mentre gli veniva ricordato che un tempo affermava di essere disposto a “prendere un proiettile” o “fare qualsiasi cosa” per proteggere il presidente. “Per essere chiari – ha detto Cohen alla Abc – mia moglie, mia figlia e mio figlio, e questo Paese hanno la mia primaria lealtà”.

Sempre il mese scorso l’avvocato di Cohen, Lanny Davis, ha diffuso la registrazione audio di una conversazione risalente al settembre 2016 fra lo stesso Cohen e Donald Trump, in cui discutevano un accordo che aveva raggiunto con una modella di Playboy per la vendita dei “diritti” sulla storia di una presunta relazione fra questa e Trump prima della sua elezione alla presidenza. Una mossa già interpretata da osservatori come una svolta. Che però è arrivata ieri, quando Cohen si è prima consegnato all’Fbi, quindi ha fatto ingresso in un tribunale di Manhattan ammettendo le sue colpe.

Nel dettaglio, si è detto colpevole per tutti gli otto capi d’accusa contestatigli, dalla frode fiscale e bancaria alla violazione delle regole finanziarie della campagna elettorale. Il risultato di un accordo che contempla anche fra i quattro e fino ai cinque anni e tre mesi di prigione. Il giudice ha stabilito il 12 dicembre quale data per la sentenza e ha fissato una cauzione di 500mila dollari.

Intanto ad Alexandria, in Virginia, dopo giorni di camera di consiglio, la giuria del processo a Paul Manafort ha raggiunto un verdetto soltanto su otto dei 18 capi d’accusa contro l’ex capo della campagna elettorale di Trump. Sugli altri 10 non c’è consenso. Trump si è detto dispiaciuto per Manafort, ha ricordato che è un ‘brav’uomo” e ha lavorato anche per Ronald Reagan, però ha sottolineato che ciò non ha nulla a che vedere col Russiagate, la “caccia alle streghe” ripete. Su Cohen nessun commento.