STRASBURGO – Tensione alle stelle tra Israele e le istituzioni europee. Prima la decisione del Tribunale del Lussemburgo di sdoganare Hamas, quindi, poche ore dopo, il voto del Parlamento a favore del riconoscimento della Palestina. Due scelte cruciali che vengono percepite nello Stato ebraico come due azioni apertamente ostili. Tanto da provocare l’ira furibonda del premier israeliano Benyamin Netanyahu che arriva ad evocare la Shoah:
“Oggi abbiamo visto esempi sconvolgenti dell’ipocrisia europea. A quanto pare – attacca il premier – troppe persone in Europa, nella stessa terra dove 6 milioni di ebrei sono stati massacrati, non hanno imparato alcunché”.
Tutto ha avuto inizio a Lussemburgo, dove mercoledì mattina i giudici del Tribunale europeo hanno deciso di depennare Hamas dalla lista nera europea delle organizzazioni terroristiche, seppur per motivi procedurali e mantenendone comunque in vigore gli effetti per garantire il congelamento dei beni. Decisione accolta subito con giubilo da Gaza:
“Viene corretto un errore commesso dalla Ue nel 2003”, ha detto Sallah al-Brdwail, un dirigente di Hamas. “Il terrorismo – ha aggiunto – è l’occupazione israeliana, e noi ne siamo le vittime”.
Dura la risposta di Netanyahu:
“Israele non accetta i chiarimenti dell’Ue sul fatto che la decisione del tribunale su Hamas sia soltanto un tema tecnico. Ci aspettiamo – ha incalzato – che l’Ue prontamente ridefinisca Hamas come organizzazione terroristica”.
Tempo mezz’ora e una portavoce dell’Alto Rappresentante per la politica Estera tenta di calmare le acque, ricordando che la decisione della Corte su Hamas “è una sentenza legale, non una decisione politica”, e che il Consiglio può decidere di fare appello. Nel frattempo, assicura la portavoce di Federica Mogherini, “le misure restrittive restano in atto” e “ciò significa che l’Ue continua a considerare Hamas un’organizzazione terroristica”.
Intanto, più o meno negli stessi minuti, verso l’ora di pranzo, l’aula di Strasburgo approva a larghissima maggioranza un testo di risoluzione congiunta, sottoscritto da ben cinque gruppi politici, a favore “in linea di principio” del riconoscimento dello Stato palestinese, di una soluzione a due Stati sulla base dei confini del ’67 che vada di pari passo con lo sviluppo dei colloqui di pace.
Tra i firmatari oltre al Ppe, i socialisti, i liberali, i verdi e gli esponenti di Sinistra unita, anche due grillini. Solo Nigel Farage, il leader euroscettico dell’Ukip, contesta la risoluzione, parlando di un voto “da annullare”. Ma è isolato. Alla fine i sì sono 498, i no 88 e 111 gli astenuti, con gli eurodeputati di Forza Italia che al momento del voto hanno lasciato l’Aula.
Il testo è stato frutto di una mediazione faticosissima, in cui tutti hanno ceduto su qualche punto. I socialisti, con il capogruppo Gianni Pittella, parlano di “giornata storica”, tuttavia non hanno ottenuto l’invito esplicito agli Stati membri di riconoscere lo Stato palestinese. I popolari hanno inghiottito il riconoscimento ma, come sottolinea Lorenzo Cesa, il voto non è “una cambiale in bianco”, perché tutto è subordinato alla ripresa del negoziato. Per il Ppe cruciale è il passaggio in cui si ricorda che il riconoscimento deve andare ‘hand to hand’, di pari passo con la ripresa dei colloqui di pace.
In ogni caso, come era prevedibile, tutti gli sforzi lessicali e il delicato lavoro di mediazione non sono bastati a freanre minimamente la reazione rabbiosa di Netanyahu.
I commenti sono chiusi.