
Genova al voto: “Sa cosa ha perduto, ma ignora il suo domani..”, Eugenio Montale fu profeta - Blitzquotidiano.it (nella foto dell'autore il porto dalla mia finestranel 1960)
Genova al voto. Sessantamila elettori nati lontano dalla Lanterna, dal porto storico, da questa città “ma se ghe pensu”, patria dell’emigrazione tra la fine dell’ Ottocento e le due guerre, quando da qui se ne andarono sette milioni di italiani verso le “Meriche” soprattutto.
E ora questi sessantamila, per lo più sudamericani, genovesi a rovescio di quelli là, imbarcati sui piroscafi con le lacrime dell’addio, hanno in tasca il certificato elettorale, dopo avere preso la cittadinanza.
Sessantamila su 480 mila elettori. Che sono tanti in una città di 555 mila abitanti. Vuol dire che Genova è proprio vecchia, la più vecchia d’Europa, come conferma uno studio di questi giorni dei consumatori con percentuali da spavento, se vai a contare le generazioni sopra il 65 anni che sono il 28 per cento degli abitanti e quelli sopra i 75, che sono il 19 per cento.
Una città che va a scegliere il suo quindicesimo sindaco dopo la fine della seconda guerra con una conformazione famigliare da brividi: il 45 per cento delle famiglie è formata da single.
E questo è un primato italiano e questo è un primato che porrà problemi enormi a chi andrà a governare.
Ballano i numeri dai quali trarre gli auspici di un voto che sta diventando sempre più incerto, mentre siamo alla vigilia.
Il centro destra, che le elezioni regionali di novembre davano indietro di 18 mila voti e i sondaggi di un mese fa staccato di sette punti dalla maxicoalizione di centro sinistra, sta recuperando.
Il distacco è un po’ sceso e ora fa apparire possibile un ballottaggio il 9 giugno tra Silvia Salis, la sorpresa di centro sinistra , uscita dal cilindro misterioso di grandi manovre romane, da vicepresidente del Coni, ex atleta olimpica sconosciuta ma non nei quartieri alti.
Chi sarà sindaco di Genova?

– Blitzquotidiano.it (nella nella foto ANSA i due candidati Pietro Picioncchi e Silvia Salis)
È Pietro Piciocchi, il vice sindaco reggente che praticamente da sette mesi governa la città in transizione per un centro destra che è al potere dal 2017.
Ma, a parte i pronostici, questa città dei numeri rovesciati, del voto in qualche modo straniero così massiccio, dei single record e degli anziani determinanti nella campagna elettorale, è apparsa poco.
I candidati sindaci che sono otto, con il terzo ipotetico incomodo, l’avvocato Mattia Crucioli, ex Cinque Stelle, oggi “Uniti per la Costituzione”, che ha qualche possibilità di superare la soglia del tre per cento e quindi di entrare in Consiglio Comunale, hanno battuto altre strade, facendo mancare al confronto l’immagine reale di Genova che viaggia oramai verso il 2030.
Da destra gli squilli sono sempre stati per le grandi opere da fare per far lievitare la città. E l’ultimo segnale è arrivato a cinque giorni dal voto, quando da Roma è scattato il disco verde a un’opera da cinquecento milioni, lo Sky metro, una linea aerea speciale, che dovrebbe collegare con una specie di metropolitana sospesa sul corso del torrente Bisagno, la stazione ferroviaria di Brignole, con la popolosa delegazione di Molassana, 7 chilometri di un “mostro” che corre sopra il greto, tra le case, abbattendo perfino una scuola, una delle più moderne.
Il via in extremis al maxi progetto è stata la mossa pre elettorale firmata da Salvini, ministro delle Infrastrutture, più clamorosa e anche un po’ pesante, perché questo Skymetro divide molto l’opinione pubblica di una valle ombelicale di Genova, dove ci sono oggi oltre ai quartieri prevalentemente popolari, insediamenti forti, come il monumentale cimitero di Staglieno, i grandi depositi dell’Amt, lo stadio e il carcere di Marassi, il macello pubblico, una disordinata serie di magazzini di grande distribuzione, un altro grande impianto sportivo, la Sciorba di piscine e campi di calcio.
Ma gettare questa carta sul voto, dopo infinite polemiche, significa proprio che il centro destra resta quello fondato da Marco Bucci, di cui Piciocchi è l’erede per diritto successorio e il continuismo la sua bandiera.
E allora vai con questo Skymetro, con la superdiga foranea in costruzione e in ritardo, la Gronda, cioè la Tangenziale da 57 chilometri con cui avvolgere Genova dall’alto delle autostrade cadenti e intasate e dal basso della sua rete di vie di comunicazione per il grande porto in espansione.
La lunga attesa delle grandi opere
Vai con l’atteso anni Terzo Valico che si aspetta da duecento anni e che negli ultimi due mesi è slittato ancora di almeno due anni dal 2026 al 2028 e vai con i nuovo quartiere intorno al Palasport, la ex Fiera del Mare, fatta di canali, residenze di superlusso e nuovi supermercati.
“Genova è sfiduciata perché sa cosa ha perduto, ma ignora qual è il suo domani..” ha scritto Eugenio Montale, premio Nobel genovese.
Ed è proprio così ancora, nonostante queste grandi opere sventolate e sulle quali il confronto politico si è un po’ piantato. I contendenti hanno giocato a discutere se farle e come con Piciocchi sparato e la bella Salis che un po’ approvava e un po’ nicchiava. E ora che fare davanti allo Skymetro finanziato in parte e con i cantieri pronti a partire, se la vittoria fosse del centro sinistra?
Genova sa cosa ha perso, le industrie, gli stabilimenti e i cervelli dell’Iri, decine di migliaia di operai e una vocazione chiaramente industriale. Il terzo lato del triangolo e quel grande porto che era pubblico.
Sul logoramento di quel disegno, crollato pezzo dopo pezzo tra gli anni Settanta e il Duemila, si è spezzato pure il ponte Morandi che sopportava un traffico eccessivo perché nella recessione e nelle battaglie ideologiche della Prima Repubblica era stato impossibile costruire altre grandi strade di comunicazione, mentre il peso dei trasporti saliva esponenzialmente, container a milioni, Tir a botte di diecimila al giorno.
E tutti sopra quel ponte, costruito nel 1967 come il simbolo del sol dell’avvenire e caduto sette anni fa come il castello di carte di un’idea di città che non c’è più. Appunto perduta, come scriveva Montale.
La nuova idea di spiazzare tutto con le grandi opere, lanciata da Bucci, potrebbe avere cambiato il mood genovese, stiamo crescendo, la gente crede nel futuro……Poi arrivano le botte come quelle delle statistiche delle nuove imprese del futuro, come la Erikson, installata sulla mitica collina degli Erzelli, piattaforma del futuro da inseguire , che cinque anni fa aveva a servizio ottocento dipendenti di alto livello e ora è scesa a 370…..
Che segnali sono e come possono credere i giovani che qui c’è un futuro di sviluppo, che possa attirare, invece di far esportare cervelli, giovani, nuove professionalità, i ragazzi che poco più in là, nella grande “madre” dell’IIT, si inventano i robot che sostituiscono gli uomini?
Genova è lenta e non riesce a sbloccare il suo sviluppo, che continua a galleggiare tra “quello che è perduto” e l’orizzonte incerto.
In questo orizzonte c’è il turismo, i servizi? Certamente, ma questo accade ovunque, in Italia soprattutto, tanto che si parla di overturism, ma l’overturism a Genova riguarda poi solo 500 metri quadrati, il Porto Antico e il dedalo dei mitici caruggi, dove suonano “Creuza de ma’ ” di Fabrizio De Andrè, un inno zeneise venato oramai da troppa nostalgia, che non hanno più le macerie della guerra, come fino a una ventina di anni fa, ma non decollano.
Potevano essere l’arma del rilancio, che coniugava la nuova conformazione sociale con le spinte del terziario commerciale e artigianale, una grande nicchia, indorata di stupende chiese e campanili, di piccolo piazze, di palazzi antichi restaurati.
Invece questa città antica, come la chiamava Baget Bozzo, ha aree totalmente perdute, in mano al commercio cinese o allo spaccio senegalese, o allo stazionamento di altre etnie, che aspettano tempi e giorni migliori. Sottoripa, quell’area di incommensurabile genovesità, dove le zaffate del fritto dei frisceu si mescolano al kebab, dove le botteghe antiche, che conservano le vecchie ricette, sono circondate dai banchetti usa e getta, dagli afrori di un popolo vagante, e quando cala il buio anche un po’ minaccioso.
Non ci sono più i mercatini di una volta, dove si compravano il cioccolato svizzero e le sigarette di contrabbando, ma chioschi di frattaglie, di cineserie da quattro euro, che vengono esposti come haute couture. “Sai quello che hai perduto e non sai cosa cosa succederà domani.”
E invece la bella Salis recita il suo slogan, che dice proprio: “E’ già domani” e allarga il suo raro sorriso su questa affermazione, che significa il cambiamento dopo gli anni scatenati del buccismo.
“Bisogna uscire dalla loro bolla propagandista”, incalza Andrea Orlando, l’ex leader nazionale Pd, oggi consigliere regionale di opposizione a Bucci , un po’ esiliato in Liguria, dove non è che sia molto visibile.
La bolla propagandista è quella dell’ottimismo di Bucci, del suo sentiment che urla ai quattro venti che la città si è svegliata, è cambiata, ora si che aumenta tutto, la demografia, calcolata in un altro modo, rispetto a quello tradizionale, l’attrattiva per gli imprenditori, che corrono ad investire a Genova, i giovani che non scappano più, ma anzi tornano. Insomma il risveglio di Genova.
Dall’altra parte la Salis e i candidati di un centro sinistra che sente aria di vittoria, dopo una raffica di sconfitte maturate dal 2015 della vittoria di Giovanni Toti alle regionali contro Raffaella Paita, nel frattempo diventata renziana super, conducono una campagna tutta puntata sui quartieri più disagiati, rincorrendo il lavoro povero, le fabbriche in cassa integrazione, i disagi sociali, sempre più forti, i dislivelli di reddito di una città che “strippa” di capitali nelle banche e dove si è venduto tutto, compresi i rimorchiatori del porto, che ha inghiottito il vero padrone di Genova, Gianluigi Aponte, che osserva la campagna da Ginevra senza molto interesse.
Il suo giornale, “Il Secolo XIX”, ha fatto una campagna tutta neutra e bilanciata, dopo una sbandatina iniziale per la Salis, apparsa di colpo sulla scena, capello biondo e tacco 12.
Ma senza prendere mai posizione e senza sottolineare che nessuno dei candidati in corsa ha mai prospettato bene l’orizzonte di Genova.
O il “continuismo” delle grandi opere o le infrastrutture sociali.
Genova di fatto è vecchia, lenta e ricca, messa come su un piano inclinato sul quale scivola. Potrebbe finire come prevedeva don Baget Bozzo, il prete fedele di Siri, poi di Craxi, poi di Berlusconi, grande testa politico religiosa, che immaginava una città ridotta a 300 mila abitanti, tutta turismo e servizi, con una alta qualità della vita.
Potrebbe diventare una grande città internazionale, capitale mediterranea, come ha predicato Bucci e come sottintende il suo epigono, Pietro Piciocchi, con forti attrazioni per turisti le cui avanguardie già si intravvedono.
Potrebbe essere, infine, quella che un po’ a fatica disegna il centro sinistra, o meglio la sinistra extralarge della Salis, sostenibile, solidale, attrezzata a assistere un declino demografico, che non si è ancora invertito, decisa a mantenere una quota di industria, ma non si sa quale, visto che i nuovi padroni dell’ex Italsider annunciano già tagli e l’unica produzione in espansione è quella cantieristica di grandi navi per Fincantieri e l’altra della nautica da diporto, raffinata e scintillante, ma solo per ricchissimi.
E poi il nucleare, tema di scontro evidente a quaranta anni da quando Genova doveva diventarne la capitale, prima del fatale referendum. Sappiamo cosa abbiamo perduto……
Le elezioni probabilmente non scioglieranno i dubbi e a Roma, dove guardano queste elezioni con un evidente distacco perché la Meloni teme una sconfitta, stanno molto cauti.
La unica grande novità di tutto il panorama è proprio Silvia Salis, che ha concluso la sua campagna da sola sul palco nella storica Piazza Matteotti, senza il contorno dei leader che la appoggiano e che sono venuti a Genova uno dopo l’altro, ma senza mai grandi piazze a sentirli. Tanto si sa: la piazza oramai è il passato. “Sappiamo quello che abbiamo perduto, ma non immaginiamo il futuro… Aveva proprio ragione Montale, che guardava la sua Genova, prima di andarsene, dal suo erto palazzo in corso Dogali, una delle alture di Castelletto, dove tutto sembra dolce e lento. Ma bellissimo.