Berlusconi da Napolitano, Renzi e arresti in Veneto: prime pagine e rassegna stampa
Pubblicato il 3 Aprile 2014 - 08:21 OLTRE 6 MESI FA
Il Corriere della Sera: “Berlusconi al Colle a sorpresa”. Il castello degli annunci. Editoriale di Antonio Polito:
La politica dell’annuncio è politica. Produce fatti e conseguenze politiche. Non è solo marketing. Se un annuncio convince dieci milioni di italiani che dal giorno dopo le Europee staranno un po’ meglio, non solo vanno meglio le Europee, ma cresce anche l’indice di fiducia delle famiglie, e si può sperare in più consumi e investimenti.
Tony Blair visse per l’intera prima legislatura sull’onda degli annunci: si chiamavano white paper , riforme annunciate, date in pasto alla stampa, digerite dal pubblico come cambiamenti epocali, e poi dimenticate. Ma tirarono su il morale di una nazione depressa dal post-thatcherismo. Mentre fu solo quando dagli annunci passò ai provvedimenti che Gerhard Schröder perse le elezioni, per aver davvero rifatto il welfare tedesco e salvato la Germania dal declino economico. Ma il problema di Renzi, come ha notato ieri il Financial Times , è che i suoi giorni non ricordano neanche pallidamente gli anni ruggenti di Blair e Schröder. I quali danzarono su un’era di espansione e di crescita. Mentre Renzi si deve calare nella peggiore recessione del dopoguerra.
La politica dell’annuncio di Renzi è l’opposto di quella praticata dal suo predecessore. Quando Letta voleva fare una cosa, prima cercava il consenso dei tecnici e della sua maggioranza, e poi procedeva col minimo comun denominatore. Quando Renzi vuole fare una cosa, prima l’annuncia e poi chiede ai tecnici e alla sua maggioranza di realizzarla. In questo modo Letta produsse uno sconto fiscale di 18 euro al mese per i redditi bassi e Renzi ne produrrà uno da 80 euro al mese. Si direbbe dunque che funziona.
Al termine di una giornata apparentemente interlocutoria, la notizia dell’incontro serale tra il capo dello Stato e Silvio Berlusconi (chiesto dal leader di Forza Italia, come evidenzia la nota del Quirinale) ha riposizionato in cima all’agenda il tema dei numeri presenti in Parlamento per portare a compimento il percorso delle riforme. E non solo. Perché, nonostante le acque agitate in cui naviga Forza Italia, la visita al Quirinale dell’ex premier assume significati molteplici: in assenza di un verbale del faccia a faccia, si può ritenere certamente che sia stato messo in evidenza dal leader azzurro il contributo (in termini di numeri) che il suo partito può dare sul terreno delle riforme.
Ma c’è un secondo tema, concatenato al primo. Non va dimenticato, infatti, che tra sette giorni, il 10 aprile, il Berlusconi condannato in via definitiva per frode fiscale a quattro anni di reclusione, di cui tre condonati dall’indulto, è convocato davanti al tribunale di Sorveglianza di Milano per discutere con i giudici (lo faranno quasi certamente solo i suoi avvocati) un percorso per la messa alla prova ai servizi sociali, in esito alla quale la pena potrebbe risultare estinta. Si tratta di un percorso di prova lungo nove mesi che costringerebbe il leader di Forza Italia a star lontano dai riflettori proprio in campagna elettorale per le Europee e nei mesi caldi in cui il suo partito intende portare a compimento con Renzi legge elettorale e riforma del Senato. Per questo — e lo ricordava ieri il «Mattinale» di Forza Italia — il tema dell’agibilità politica di Berlusconi sarà sempre in primo piano: «Dalla decisione del 10 aprile dipende non solo l’efficacia delle riforme in cantiere, ma la loro stessa legittimità». Come dire, che la spinta riformatrice di Forza Italia è sempre e comunque ancorata al destino giudiziario del suo leader. Meglio, dunque, se la messa in prova fosse resa eseguibile dai giudici milanesi dopo le europee anche, se di recente, l’avvocato Niccolò Ghedini interpellato in merito ha smentito che la difesa avanzerà una richiesta in questa direzione.
La prima pagina de La Repubblica: “Berlusconi da Napolitano: chiedo tutela”.
La Stampa: “Berlusconi al Colle per chiedere garanzie. Ma Napolitano dice no”.
Il nuovo malessere del Nord Est. Tanko, referendum e partite Iva. Scrive Fabio Poletti:
Ex leghisti, venetisti, sardisti, secessionisti, indipendentisti, giornalisti e pure carristi. Perché alla fine questo Veneto che ancora sogna San Marco e il «glorioso Doge Marcantonio Bragadin», gira e rigira si trova a dover far sempre i conti con i mezzi pesanti dotati di obice a 12 millimetri. L’elettricista Flavio Contin che nel 1997 avevano preso sul campanile di San Marco mentre gli altri Serenissimi se la giocavano in piazza a Venezia con il «tanko», un trattore dotato di blindatura e bandierina del Leone di San Marco, adesso sognava ancora più in grande. In un capannone di questo paesone di cinquemila abitanti – Patria del mobile e dell’antiquariato è scritto all’ingresso – teneva un altro «tanko» versione 2.0 costruito partendo da una benna. Ma il pezzo forte lo teneva nel giardino della sua villetta bianca. Proprio il «tanko» originale che si era ricomperato ad un’asta giudiziaria un po’ di tempo fa pagandolo 6 mila e 600 euro. E che solo sei anni fa era riapparso a Cittadella in una festa di «Raixe venete», Radici venete per dirla con la lingua dell’invasore.
Il Fatto Quotidiano: “Un pregiudicato al Quirinale. Berlusconi ricatta il governo”.
Leggi anche: Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Che fai, li cacci?”
Il Giornale: “Golpe da mona”. Editoriale di Stefano Lorenzetto:
«Sono impazziti », mi dice a botta calda il veneziano Ranieri da Mosto, discendente di quell’Alvise da Mosto, esploratore nato sul Canal Grande, che nel Quattrocento scoprì l’arcipelago del Capo Verde. Fra corregionali, il soggetto resta sottinteso: sono impazziti governo, politici, magistrati e forze dell’ordine della Repubblica italiana che ieri hanno risposto con una retata al plebiscito veneto sull’indipendenza. Però devono essere impazziti – è bene chiarirlo subito – anche quei sostenitori della Serenissima che, anziché appellarsi al diritto all’autodeterminazione dei popoli sancito dall’Onu nel 1966 e ratificato dall’Italia nel 1977, credono di poter giocare alla guerra con un carro armato assemblato sotto la barchessa. Il nobile che ospitò nel suo palazzo in campo San Cassian il primo governo di Umberto Bossi non è il solo a pensare, dall’alto dei suoi 90 anni, che lo Stato abbia perso la trebisonda. Secondo l’Ansa, le indagini che hanno portato all’arresto di 24 persone e alla denuncia di altre 27 «sono cominciate circa tre anni fa». Ora, se davvero il «gruppo riconducibile a diverse sigle di ideologia secessionista», come sostengono i carabinieri dei Ros, «aveva progettato varie iniziative, anche violente, finalizzate a sollecitare l’indipendenza del Veneto e di altre parti del territorio nazionale», viene spontaneo domandarsi: scusate, e avete aspettato dal 2012 a oggi per assicurare alla giustizia 51 individui così pericolosi?