I costi del non fare: 60 miliardi l’anno. Roberto Giovannini, La Stampa

di Redazione Blitz
Pubblicato il 23 Giugno 2014 - 13:45 OLTRE 6 MESI FA
L'articolo di Giovannini

L’articolo di Giovannini

ROMA – “L’Italia è uno strano paese, si sa – scrive Roberto Giovannini sulla Stampa – Quando si parla di infrastrutture e opere pubbliche su di noi pesa una strana maledizione”.

L’articolo completo:

Paradossi che producono costi che alcuni economisti cercano di quantificare: secondo un recente studio dell’Università Bocconi – che ha creato un «Osservatorio sui Costi del non fare» – tra il 2012 e il 2027 la mancata realizzazione di alcune opere strategiche ci costerà in termini di mancata creazione di ricchezza la bellezza di 893 miliardi di euro. Fanno in media 60 miliardi l’anno, gettati al vento in termini di costi economici, sociali e ambientali che graveranno sull’intera collettività.
È vero che forse bisognerebbe affiancare all’Osservatorio Cnf della Bocconi anche un «Osservatorio sui costi del fare», se si considerano i molteplici danni provocati alla finanza pubblica e alla competitività economica da decisioni scellerate. Che hanno condotto a realizzare opere inutili per ingrassare politici e costruttori impoverendo gli italiani, anziché infrastrutture decisive per la competitività e la crescita. Servirebbe certamente anche un «Osservatorio sui costi giusti del fare», per misurare quanto si spende in più per fare un’opera pubblica che in Francia o Germania costerebbe molto meno. Sicuramente farebbe comodo un «Osservatorio sui costi del fare tardi», per misurare l’esasperante lentezza con la quale si realizzano gli investimenti e le opere pubbliche.
Battute a parte, tornando allo studio di Agici Bocconi, le priorità infrastrutturali devono essere appunto infrastrutture strategiche per lo sviluppo del Paese, affiancate però da piccoli interventi con ampio impatto locale. Della prima categoria, dicono gli economisti della Bocconi, devono far parte come priorità strategiche la banda larga ed ultralarga, per superare lo storico digital divide, aumentare la produttività e l’efficienza dell’economia reale, e favorire l’inclusione sociale e la qualità della vita. Poi, la mobilità e la logistica dei trasporti, fondamentali per aumentare la competitività delle nostre produzioni; Terzo, l’energia e l’efficienza energetica: c’è un problema di costi e di “indipendenza”, ma anche la necessità di essere presenti in un comparto innovativo e industrialmente strategico. Sul versante invece, del «piccolo», bisogna puntare su piste ciclabili e strade, sulle scuole e sugli edifici efficienti, sulle reti web e su una illuminazione pubblica intelligente.
Secondo, la ricerca è il comparto delle telecomunicazioni quello che rischia di presentare al sistema Italia il conto «globale» più salato, ovvero 429 miliardi di euro in 16 anni. Segue il rinnovamento del sistema del trasporto ferroviario, con 129 miliardi totali. In questo caso accanto agli investimenti nell’alta velocità, quella che serve davvero è la ristrutturazione delle linee ferroviarie convenzionali. Seguono strade, autostrade, tangenziali a pedaggio (96 miliardi di costi); la logistica (oltre 73 miliardi di euro, soprattutto in campo portuale). E soprattutto l’energia, sia sul versante degli impianti di produzione e delle reti di trasmissione e accumulo (65 miliardi) che su quello dell’efficienza energetica (46 miliardi, considerando rinnovabili termiche, caldaie a condensazione e cogenerazione industriale). Ma attenzione: per gli economisti della Bocconi per smuovere gli investimenti serve una pianificazione di lungo periodo, progetti di qualità, modelli di finanziamento innovativi, sfruttare al meglio le risorse Ue.
[r. gi.]
L’Italia è uno strano paese, si sa. Quando si parla di infrastrutture e opere pubbliche su di noi pesa una strana maledizione. Le opere utili non si riescono a realizzare, mentre se ne fanno altre che servono solo a generare lucrosi affari. Altre ancora si fanno pensando a un’Italia che non c’è più bisognosa di cemento, e non guardando invece a ciò che serve veramente per far marciare un’economia avanzata nel ventunesimo secolo.