Egitto, attentato al consolato italiano un avvertimento all’Italia

Egitto, attentato al consolato italiano un avvertimento all'Italia
Egitto, attentato al consolato italiano un avvertimento all’Italia

ROMA – Un’auto fatta esplodere alle 6 di mattina, davanti a un consolato chiuso. L’attentato del Cairo davanti alla nostra rappresentanza diplomatica è un avvertimento: i terroristi sanno come uccidere e in un altro momento quella carica esplosiva avrebbe potuto fare una mattanza. Ma dietro l’esplosione di sabato mattina c’è soprattutto il tentativo di dire all’Italia di stare alla larga dal Maghreb. Da parte di chi? Cerca di spiegarlo Maurizio Molinari su La Stampa:

È un messaggio di terrore che lo Stato Islamico (Isis) rivendica a fini di propaganda, ma i suoi sanguinosi miliziani commettono stragi efferate anziché limitarsi a minacciarle, e dunque la pista delle responsabilità porta in altra direzione ovvero sui due fronti del Maghreb dove l’Italia è presente e protagonista.

Il primo, e più incandescente, è la Libia teatro della mediazione dell’inviato Onu Bernardino Leon che appena 48 ore prima aveva ammonito sui «rischi di cadere nel precipizio» se le opposte fazioni in guerra non coglieranno le opportunità di riconciliazione legate ai timidi progressi registrati nelle ultime settimane. Leon in particolare aveva puntato l’indice sui «gruppi estremisti di Bengasi» lasciando intendere la presenza di forti resistenze al possibile avvicinamento di posizioni fra il governo legittimo di Tobruk e le milizie islamiche di Tripoli.

Questa ipotesi, discussa in ambienti diplomatici al Cairo, si sovrappone con un altro scenario incentrato sull’Egitto, ritenuto credibile dall’intelligence. A suggerire questa seconda pista è l’auto modello «Speranza» saltata in aria, ovvero simile a quella che due settimane fa uccise il procuratore generale Hesham Barakat. Si tratta di una traccia che porta ai gruppi estremisti egiziani, in gran parte di matrice jihadista, il cui intento è di trasformare il Cairo in un campo di battaglia per indebolire e in ultima istanza rovesciare il presidente Abdel Fattah Al Sisi. Colpire un obiettivo diplomatico al centro della capitale significa infatti umiliare il Rais, irridere alla sua capacità di controllare l’Egitto a pochi giorni da quando si è recato, in divisa militare, ad ispezionare le truppe impegnate nel Sinai contro i miliziani di Isis.

In questo caso, l’intento di fiaccare l’autorità di Al Sisi può passare attraverso un avvertimento all’Italia perché il nostro Paese negli ultimi mesi è stato protagonista di un rafforzamento di rapporti bilaterali che non ha paragoni in seno all’Unione Europea. Che si tratti di gruppi jihadisti, salafiti, più o meno vicini ai Fratelli Musulmani, il legame privilegiato dell’Italia con Al Sisi è un ostacolo da abbattere perché apre all’Egitto un orizzonte di investimenti, aiuti e sviluppo destinato a rafforzare l’attuale governo.

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