Generale Federico Baistrocchi, dal 16 giugno a Roma la mostra in suo onore

di Redazione Blitz
Pubblicato il 5 Giugno 2017 - 11:07 OLTRE 6 MESI FA
Generale Federico Baistrocchi, dal 16 giugno a Roma la mostra in suo onore

Generale Federico Baistrocchi, dal 16 giugno a Roma la mostra in suo onore

ROMA – Il generale Federico Baistrocchi ha riformato durante il fascismo l’esercito italiano e aveva avvisato Benito Mussolini che una guerra mondiale stava arrivando e la campagna in Etiopia non era una buona idea. Un innovatore nel suo campo, Baistrocchi è stato il Sottosegretario alla Guerra del Duce e ora la sua vita e la sua carriera arrivano in una mostra aperta al pubblico pressop il Museo dei Granatieri di Sardegna a Roma. A partire dal 16 giugno la mostra aprirà e saranno disponibile le lettere del generale Baistrocchi a Mussolini, ripercorrendo così la vita di un personaggio militare che ha giocato un ruolo chiave nell’Italia tra la prima e la seconda guerra mondiale, quando profetico annunciava: “Duce, l’Impero che avete creato lo perderete“.

Grande stratega, tanto da meritare il soprannome di Diavolo Rosso, il generale Baistrocchi ha passato la sua vita dedicandola all’esercito ed è morto a Roma il 31 maggio 1947, segnano da quasi due anni passati in carcere dopo la caduta del fascismo, quando il generale Badoglio l’ha portato in tribunale con l’accusa di aver compromesso e tradito le sorti del Paese tanto da averlo successivamente condotto alla catastrofe mediante la fascistizzazione dell’Esercito, influenzandone l’ordinamento, la tecnica militare, la regolamentazione e la disciplina. Andrea Cionci su La Stampa scrive:

“Federico era nato a Napoli nel 1871 da antica e nobile famiglia di origini polacche: presto fu inviato al Collegio militare della Nunziatella e poi all’Accademia di Modena. Prese parte alla campagna di Eritrea del 1896, alla campagna di Libia del 1911. Per il suo valore e perizia ottenne varie promozioni per merito di guerra e ben sei medaglie al Valore, ma per lui stesso, la più ambita fu quella d’oro che gli Arditi del 1° battaglione d’assalto gli offrirono per averli accompagnati con il preciso fuoco dei suoi cannoni alla conquista di Q. 800 della Bainsizza.

Al termine della Grande guerra, promosso Generale ed eletto Deputato, tra il 1924 e il 1933 non si occupò di politica ma esclusivamente di questioni, leggi e riforme militari. Per questa sua riconosciuta preparazione tecnica ed esperienza sul campo, Mussolini, nel 1933 lo chiamò ad assumere l’incarico di Sottosegretario di Stato per la Guerra e, dal 1 ottobre 1934, anche la carica di Capo di Stato Maggiore dell’Esercito.

Il temperamento entusiasta ed esuberante di Baistrocchi irruppe nel severo ambiente piemontese di Via XX Settembre portando un vasto piano di riorganizzazione e modernizzazione delle truppe italiane, da attuarsi in due trienni: 1933-36 e 1936-39. Riuscì ad imprimere, da subito, un salutare “scossone” alla sua forza armata: svecchiare, innovare, motorizzare, abbandonando definitivamente i vecchi concetti del primo dopoguerra. Il suo primo impegno fu l’introduzione di criteri più meritocratici per l’avanzamento degli ufficiali.

Si occupò quindi di un piano di riforme che prevedeva l’ammodernamento delle armi in dotazione alla fanteria e all’artiglieria e al loro munizionamento. Diede il massimo impulso alla meccanizzazione e motorizzazione dell’Esercito con la costituzione organica del Corpo Automobilistico e trasformando e motorizzando reparti di cavalleria, bersaglieri, batterie di artiglieria e creando le prime unità corazzate e autotrasportate.

Si preoccupò di migliorare il trattamento e l’addestramento delle truppe, il suo equipaggiamento e vestiario, con maggiore praticità e comodità rispetto a quanto adottato dai precedenti regolamenti. Con l’istituzione del nuovo corpo denominato “Guardia alla Frontiera” (GAF) l’Esercito venne svincolato dal compito di assicurare la copertura dei confini per impegnarsi quindi a garantire la difesa del restante territorio nazionale”.

 

Proprio il generale capì l’importanza della guerra lampo, ma poi la campagna d’Etiopia incrinò i suoi rapporti con Badoglio:

“Fu proprio nella campagna d’Etiopia, con l’accennata intenzione di Mussolini di sostituire Badoglio con Baistrocchi che si verificò il malinteso che mise in allarme il primo dei due generali. Queste infatti furono le parole di Badoglio riportate dal generale Rodolfo Graziani: “Durante la campagna d’Etiopia, Baistrocchi ha tentato di farmi la forca, ma la pagherà. Perché, vede Graziani – incalzò con aria minacciosa – io i miei nemici li strangolo lentamente, così, col guanto di velluto”. In realtà Baistrocchi aveva fatto solo il suo dovere di “tecnico” e non aveva alcuna intenzione di “fare le scarpe” al suo superiore.

L’occasione per disarcionare quello che pensava fosse un rivale, Badoglio la ebbe, tuttavia, quando Baistrocchi scrisse a Mussolini la lucida e profetica lettera del 18 settembre ’36. Fu grazie a questa che Badoglio poté convincere il Duce a destituirlo. Il generale napoletano fu nominato Conte e Senatore de Regno per i grandi meriti acquisti, ma, de facto, fu escluso da ogni ruolo di responsabilità. Mussolini gli propose, poi, di comandare le truppe nella guerra di Spagna, ma egli rifiutò. Come molti italiani anche il generale aveva probabilmente perso entusiasmo verso una politica nella quale non si riconosceva più.

Con il crollo del Regime e l’insediarsi di Badoglio come capo del Governo, il 18 aprile 1945 con richiesta del Commissariato per le sanzioni contro i Fascismo Baistrocchi, allora settantatreenne, fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli come un delinquente comune. Qui rimase per un anno e tre mesi in attesa del processo. Al generale instancabile e intrepido, il peso della calunnia fu molto gravoso, tanto che dimagrì di 21 chili. Solo gli ultimi due mesi prima del processo li trascorse nel carcere militare di Forte Boccea, trattato con il dovuto rispetto. L’accusa era di avere, come Sottosegretario alla Guerra, compromesso e tradito le sorti del Paese tanto da averlo successivamente condotto alla catastrofe mediante la fascistizzazione dell’Esercito, influenzandone l’ordinamento, la tecnica militare, la regolamentazione e la disciplina.  Il processo presso il tribunale militare di Roma iniziò il 10 settembre 1946 e fu seguito da tutta la città”.

 

 

Un processo che durò 12 giorni e si concluse il 22 settembre, con la riabilitazione della sua figura di soldato e generale, ma ormai la sua salute era compromessa dagli anni in carcere:

“Baistrocchi respinse energicamente ogni accusa parlando 5 ore di seguito ed elencando esattamente il suo operato e le sue argomentazioni. Tuttavia, mai ebbe parole contro il suo nemico Badoglio. Su richiesta dello stesso Pubblico Ministero, l’anziano generale fu quindi assolto con formula piena, tra gli applausi del pubblico e grandi manifestazioni di approvazione. La sentenza consacrò la figura di questo ufficiale con pieno, incondizionato riconoscimento. Uscì dal carcere alle ore 15 del 22 settembre 1946. Già debilitato dalla vicenda infamante del carcere, pochi mesi dopo, morì per un attacco di cuore, il 31 maggio 1947. Riposa alla Certosa di Bologna.

Come scrisse il grande invalido di guerra Carlo Delcroix, per il suo epitaffio: “Visse abbastanza da rivendicare con il proprio nome quello dell’Esercito che si voleva colpire in uno dei suoi Capi più degni, ma il cuore che aveva contenuto il giubilo della guerra vinta e l’angoscia della guerra perduta alla fine si infranse. La famiglia che amò più di se stesso e l’Italia che servì fino alla morte, nel piangerne la perdita, non vogliono sia perduto il suo esempio”.