Jihad, il Giornale: l’imam belga e il miliziano liberati dai nostri giudici

L'articolo del Giornale
L’articolo del Giornale

ROMA – La storia dell’imam belga vicino ad Al Qaida e il miliziano jihadista liberati dai giudici italiani è raccontata dal Giornale. L’ex imam di Bruxelles, Bassam Ayachi, siriano, all’epoca 63 anni (chiamò il figlio Mohammed Atta come un dirottatore dell’11 settembre) e l’ingegnere informatico francese Raphael Gendron, poi morto in Siria, l’11 novembre del 2008 furono scovati in un camper del porto di Bari e arrestati perché trovati in possesso di documenti che facevano riferimento ad Al Qaada. In attesa del processo in carcere furono intercettati. E uscirono dialoghi come: “Ci ammazziamo colpendo, colpiamo… non hai bisogno che ti dica che significa avere un aereo francese”, dice l’imam all’ingegnere. Il quale spiega che “bisogna colpire gli inglesi” e “cambiare posto” mentre l’altro fischia per simulare il rumore di un jet e dichiara: «Colpirò De Gaulle”.  Nel giugno 2011 Ayachi e Gendron vengono condannati in primo grado a otto anni di reclusione, ma nel luglio del 2012 la Corte d’Appello dispone l’assoluzione: la decisione viene annullata dalla Cassazione ma nel nuovo giudizio di secondo grado, il 3 aprile del 2014, i giudici li assolvono ancora una volta. La sentenza non viene impugnata e diventa definitiva.

Intanto sale l’allarme per la moschea di Sellia Marina, in provincia di Catanzaro, come racconta Lucio Musolino del Fatto Quotidiano:

La moschea calabrese era già salita agli onori della cronaca nel 2011 quando la Digos di Catanzaro, su richiesta della procura aveva arrestato l’imam Moammhed Garouan e il figlio Brahim assieme a Younes Dahaki. Tutti e tre di origine marocchina erano stati segnalati dai servizi segreti e dopo una serie di indagini erano scattate le manette, con l’accusa di essere addestratori di terroristi islamici. Nel computer dell’imam la polizia postale aveva trovato alcuni video in cui venivano spiegate le tecniche per diventare un cecchino e per realizzare cinture esplosive che sarebbero servite per azioni kamikaze in grado di far saltare anche mezzi militari.
Filmati scaricati da internet che, secondo la procura, dovevano essere copiati in trecento dvd utilizzati poi per istruire i potenziali terroristi che gravitavano attorno alla moschea di Sellia Marina. Una tesi, però, naufragata davanti alla Cassazione che ha scarcerato l’imam e il figlio. La Suprema Corte, infatti, ha scritto che “il terrorismo virtuale, fatto di manuali e corsi di formazione, finalizzati a formare il perfetto terrorista, capace di puntare e colpire l’obiettivo da infallibile cecchino, così come di preparare e utilizzare l’esplosivo, non è reato”. Per la Cassazione in sostanza, “nessun elemento consentiva di poter asserire, se non surrettiziamente, che i tre indagati avessero realizzato una scuola di preparazione ed esercitazione per il compimento di azioni terroristiche”. Tutti a casa e inchiesta archiviata con tanto di scuse da parte dello Stato che ha disposto un risarcimento di 180mila euro (60mila a testa) per l’ingiusta detenzione dei tre musulmani rimasti in carcere otto mesi e otto giorni. Dopo un periodo in Marocco, Moammhed Garouan è ritornato a Sellia Marina ed è sempre l’imam della moschea, un punto di riferimento per i musulmani della provincia di Catanzaro. La sua famiglia riscuoterà anche il risarcimento previsto per la detenzione in Italia del figlio Brahim, nel frattempo andato in Siria per combattere contro il regime di Assad: è morto lo scorso aprile in un bombardamento dei lealisti.

 

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