La Francia come l’Italia degli anni ’70. Marcello Sorgi, La Stampa

di Redazione Blitz
Pubblicato il 14 Gennaio 2015 - 12:15| Aggiornato il 15 Gennaio 2015 OLTRE 6 MESI FA
La Francia come l’Italia degli anni '70. Marcello Sorgi, La Stampa

La Francia come l’Italia degli anni ’70. Marcello Sorgi, La Stampa

ROMA – “La Francia come l’Italia degli anni ’70” è il titolo dell’editoriale di Marcello Sorgi per la Stampa dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo e nel supermercato kosher di Parigi. “Sembra un po’ l’Italia degli Anni 70, delle Br e del caso Moro, che segnò lo spartiacque tra la sopportazione, la convivenza forzata e la lotta al terrorismo, la Francia di questi giorni, piegata dalla sua jihad indigena – scrive Marcello Sorgi della Stampa – Il paragone potrà sembrare improprio o approssimativo, date la distanza di tempo e le diverse origini del brigatismo nostrano e dei qaedisti d’Oltralpe”.

Eppure – scrive Sorgi – il ricordo riaffiora, e sono tante le assonanze che tornano alla mente. A cominciare dallo sgomento e dall’incredulità sulle dimensioni e sulla propagazione del terrorismo islamico, dalle crepe aperte nell’involucro di un’identità nazionale vicina a noi che ci definiamo «cugini», dall’incapacità, del governo e della politica francese nel suo complesso (come allora di quella italiana), di dare risposte credibili, infine dal rimorso per errori e sottovalutazioni, di cui solo adesso si ammette la consapevolezza.
Erano simili, nell’Italia di quarant’anni fa, lo stupore e l’incapacità ad ammettere che il terrorismo fosse nato all’ombra delle culture politiche basilari della Repubblica fondata sulla Resistenza, e di frange impazzite di cattolici e comunisti che avevano avuto padri e nonni combattenti nella guerra di Liberazione. La Dc cercava inutilmente di racchiudere questa realtà nella rassicurante teoria degli «opposti estremismi». Mentre a sinistra solo l’eretica Rossana Rossanda parlava al Pci di quell’«album di famiglia», ma l’«Unità» si ostinava a scrivere le «sedicenti Brigate rosse», alludendo a possibili provocazioni e montature di servizi segreti.
Pure in Francia c’è, o c’è stata fino a ieri, una fede sconfinata e irrazionale nella religione repubblicana, nell’unità nazionale e nella convivenza costruita sul rispetto reciproco e sul principio di laicità, che avrebbero dovuto garantire l’integrazione di culture, religioni e identità. Il big bang che ha portato i fratelli Kouachi nella redazione di «Charlie Hebdo», e il loro complice Amedy Coulibaly nel supermercato kosher, era esploso da tempo, anche prima che Sarkozy promettesse di ripulire le banlieues dalla «spazzatura» immigrata, ma la fiducia nella capacità dello Stato di tenere il Paese unito sotto l’aureola della République non è mai venuta meno. Non a caso lo stesso Sarkozy, divenuto presidente dopo la sua aggressiva campagna elettorale, nominerà un prefetto musulmano come gesto riparatorio (…)
Allo stesso modo in Francia, sia i due fratelli Cherif e Said, sterminatori dei vignettisti e autori dell’efferata esecuzione pubblica, trasmessa e ritrasmessa in tv, di un poliziotto musulmano, sia Amedy, l’assassino degli ostaggi ebrei del supermercato di Porta de Vincennes, facevano parte del medesimo gruppo terroristico che si riuniva in un parco, Buttes Chaumont, inutilmente tenuto sotto controllo dalla gendarmeria. Erano stati anche loro arrestati, processati, condannati e liberati, in tempo per essere istruiti da un imam, autoproclamatosi maestro di violenza, e andare ad addestrarsi in Yemen. Il boia dei quattro ebrei innocenti dell’Hyper Cacher, nel 2009, era riuscito perfino a farsi assumere come apprendista dalla Coca-Cola, e ad essere presentato ufficialmente a Sarkozy come esempio di recupero e di integrazione.
Questo esagerato ricorso al garantismo – che in passato, va ricordato, ha convinto i governi francesi a ospitare e a rifiutarsi di consegnare alcuni dei nostri peggiori terroristi latitanti – non ha niente a che vedere con le basi della guerra al terrorismo. La quale, ovunque, dove è praticata con convinzione e con risultati, semmai richiede una riduzione delle garanzie e metodi polizieschi non sempre condivisibili, ma alle volte necessari, come le torture di alcuni fiancheggiatori che in Italia portarono all’individuazione della prigione del generale americano Dozier sequestrato dalle Br (per cui alcuni agenti speciali italiani sono stati condannati), e in Usa sono servite ad arrivare al rifugio pakistano di Osama Bin Laden (sebbene la Casa Bianca abbia dovuto risponderne, riconoscendole in qualche caso inutili o esagerate) (…)