ROMA – Certo è che non bisogna scomodare né la storia né la dietrologia né la Costituzione per vedere i rischi che la decisione del governo di prepensionare le toghe (da 75 a 70 anni) avrà sulla funzionalità del sistema giudiziario e sull’andamento dei processi in corso.
Donatella Stasio sul Sole 24 Ore fa il punto sulla diatriba nata dalla decisione del Governo Renzi di mandare in pensione i magistrati a 70 anni invece che a 75.
Intanto sul Messaggero il vice presidente del Csm, Consiglio superiore della Magistratura, organo di autogoverno del potere giudiziario, prende un po’ le distanze dalla posizione dei magistrati di alto rango e di età avanzata, pur giustificandone le preoccupazioni non in termini corporativi ma organizzativi.
«Francamente non è facile giustificare perché i magistrati vadano in pensione a 75 anni, i professori universitari a 70, gli ambasciatori a 65. La motivazione del ritardato pensionamento dei magistrati nel 2002 faceva riferimento all’allungamento delle aspettative di vita dei cittadini, ma è difficile pensare che fare il magistrato sia una garanzia di maggiore longevità».
«Le preoccupazioni espresse riguardano l’efficienza degli uffici giudiziari, che correrebbero il rischio di vedersi improvvisamente privati di un buon numero di magistrati, senza che il sistema possa garantire una celere sostituzione. In particolare la Cassazione subirebbe la maggiore emorragia»
«Noi abbiamo attualmente circa 1.300 scoperture di organico. Sono 309 i magistrati ultrasettantenni al 31 dicembre 2014. A ciò si aggiunga che le procedure di nomina dei nuovi magistrati hanno una durata media di almeno tre anni e un tirocinio di ben 18 mesi. Che cosa succederà nel frattempo nei processi penali pendenti in cui la sostituzione del giudice comporterà che il giudizio ricominci daccapo? Che cosa succederà dei processi civili i cui ruoli saranno ”congelati”? Un provvedimento del genere richiede uno straordinario impegno per il reclutamento di magistrati. Nel frattempo sarebbe opportuna una maggiore gradualità nell’attuazione della riduzione dell’età pensionabile.
In che modo?
«Si potrebbe per esempio modificare la norma transitoria prevedendo l’ applicazione del nuovo limite prima per coloro che sono alle soglie dei 75 anni e poi via via per tutti gli altri fino ai settantenni»
Continua la Stasio sul Sole 24 ore:
Il decreto legge con il taglio dell’età pensionabile dei magistrati è ora al Quirinale. Il testo, però, è ancora provvisorio e alcune parti potrebbero essere ritoccate. È ad esempio ballerina la norma voluta dal ministro della Giustizia Andrea Orlando per un concorso aperto anche ai semplici laureati in legge, così da compensare l’esodo con l’ingresso massiccio di toghe ben più giovani di quelle che dal 2006 entrano in magistratura. Ma anche la disciplina transitoria potrebbe essere rivista: se infatti è largamente condivisa la riduzione dell’età pensionabile a 70 anni (era stato Silvio Berlusconi a portarla a 75 per ingraziarsi, ma senza riuscirci, l’allora primo presidente della Cassazione Nicola Marvulli), a suscitare critiche è la scelta dei tempi – immediati – per estromettere gli “anziani” dalla magistratura (ottobre 2014), salvo la deroga per i capi degli uffici (dicembre 2015): scelte in odore di incostituzionalità alla luce della sentenza n. 83 del 2013 con cui la Consulta bocciò la riduzione immediata di 2 anni dell’età pensionabile dei professori universitari laddove una «gradualità» dell’esodo consentirebbe, tra l’altro, di gestire meglio i vuoti di organico e quindi la funzionalità del servizio. Su 9410 magistrati, infatti, solo 8465 sono presenti negli uffici e l’esodo di 450 in un anno e mezzo non sarà rimpiazzato negli stessi tempi, considerata la lunga durata del reclutamento di nuove leve. Perciò il governo pensava a un maxiconcorso aperto ai laureati, ipotesi che preoccupa per il rischio di una caduta del livello culturale della magistratura. E ancora di più preoccupa l’ipotesi di un reclutamento straordinario di avvocati e professori universitari. Incostituzionale appare anche la deroga per i capi degli uffici, poiché i magistrati «si distinguono solo per diversità di funzioni».
L’esodo riguarda toghe di primo piano come, a Milano, Bruti Liberati, Minale, Canzio, Laura Bertolè Viale; a Torino, Maddalena; a Palermo, Guarnotta; a Taranto il Procuratore Sebastio, protagonista della vicenda Ilva. Ma il più colpito è il Palazzaccio e i suoi vertici, Santacroce per la Corte e Ciani per la Procura generale. In Cassazione, già in debito d’ossigeno, 14 giudici dovrebbero fare gli scatoloni a ottobre e, entro il 2015, altri 7 (tra cui Giovanni Conti, colonna delle sezioni unite penali e Amedeo Franco, relatore della sentenza Mediaset); ben 42 presidenti di sezione dovrebbero uscire a dicembre 2015. Nomi che hanno fatto la storia della giurisprudenza, come Gabriella Luccioli (sue le sentenze su Eluana Englaro e sui figli di coppie gay), Nicola Milo (spacchettamento della concussione), Maria Cristina Siotto (Dell’Utri), Gennaro Marasca (Abu Omar), Renato Rordorf (tra i maggiori giuristi italiani di società e finanza), Luigi Rovelli (delibazione dello Stato sugli annullamenti della Sacra Rota), Giuseppe Berruti (concorrenza). Per non dire di altri 5 “direttivi” non ancora sessantottenni, penalizzati due volte perché tagliati fuori anche dalla proroga prevista invece per i settantenni. Tra loro il segretario generale Franco Ippolito che ha riorganizzato la Corte in questi anni, figura storica della magistratura (…).