Salva Roma, Province, campionato: rassegna stampa del 23 dicembre

di Redazione Blitz
Pubblicato il 23 Dicembre 2013 - 08:36 OLTRE 6 MESI FA

corriereROMA – Gli inganni del salva Roma. Il Corriere della Sera: “Ancora una fiducia. Il governo torna a chiederla anche sul decreto «salva Roma», provvedimento omnibus con misure tra le più varie: dalle luci dei semafori ai fondi per i teatri. Un decreto snaturato dall’intervento delle lobby.”

Lite sugli affitti d’oro, arriva il Milleproroghe. L’articolo a firma di Virginia Piccolillo:

Il governo pone la fiducia sul decreto legge cosiddetto salva Roma. Una norma omnibus, nella peggiore delle tradizioni natalizie della politica italiana, che su pressioni localistiche e di lobby ospita disposizioni tra le più varie, alcune contestatissime. Quella paradossale sul gioco d’azzardo che diminuiva gli stanziamenti dei comuni che più lo combattono è stata cancellata ieri in aula dopo una dura battaglia del Movimento 5 Stelle che rivendica di essere riuscito a far eliminare anche l’articolo che consentiva la privatizzazione dell’acqua a Roma.

Ma è sul caso degli affitti d’oro pagati dagli enti pubblici, che i grillini avevano proposto di disdettare, che si è acceso ieri uno scontro dagli esiti imprevedibili.

Con il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, che ha promesso di reinserire quella norma che consente di stracciare i contratti d’oro, nel decreto Milleproroghe per riparare al brutto incidente di percorso che ieri ha fatto salire la tensione in aula. Fino a far agitare al leghista, Gianluca Bonanno, un simil-forcone.

Cosa è accaduto? A un’attenta rilettura del testo della legge sulla Stabilità (che sarà approvata oggi definitivamente dal Senato) i Cinque stelle hanno scoperto un emendamento che impediva di applicare lo stop agli affitti d’oro per i palazzi del potere come Palazzo Marino, che hanno un fondo di garanzia. In sostanza, il divieto di rescindere i contratti d’affitto, uscito dalla porta principale, con l’impegno del governo a cancellarlo, era rientrato dalla finestra con un emendamento bis che attribuiva addirittura alla Ragioneria dello Stato la richiesta di salvaguardare quei contratti d’oro, da anni denunciati dai radicali.

Dopo un vertice infuocato dei capigruppo e una riunione con Franceschini, il patto. Oggi alle 14.30 il voto di fiducia, ma il voto finale ci sarà il 27 dicembre. Una clausola di garanzia che consentirà ai grillini di controllare che la norma sugli affitti sia stata effettivamente inserita nel decreto Milleproroghe (che dovrebbe essere varato venerdì prossimo), come promesso ieri. Se ci dovessero essere novità, come è accaduto con l’emendamento a sorpresa i Cinque stelle sono pronti a fare un ostruzionismo in grado di far saltare l’intero provvedimento. Appoggiati anche dalla Lega che ieri si è unita alla protesta.

Da salva Roma a salva tutti. Assalto per i milioni a pioggia. L’articolo a firma di Sergio Rizzo:

«Nelle lanterne semaforiche, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, le lampade ad incandescenza, quando necessitino di sostituzione, devono essere sostituite con lampade a basso consumo energetico, ivi comprese le lampade realizzate con tecnologia a Led». Con una prosa piuttosto incerta e supremo sprezzo del ridicolo, nel passaggio in Senato del decreto cosiddetto salva Roma hanno infilato anche questo. Certo è arduo immaginare che in un Paese normale serva una legge approvata dal Parlamento per cambiare le lampadine fulminate dei semafori. Ma questa è la prova che di normalità, quando qui si fanno le leggi, è davvero difficile parlare.

Prendiamo il decreto di cui sopra. Il governo l’aveva fatto per risolvere la rogna degli 864 milioni di debiti spuntati nei conti di Roma Capitale, ma già sapendo di far partire una diligenza destinata all’assalto generalizzato. E a palazzo Madama ci è stato caricato di tutto. Venti milioni per tappare i buchi del trasporto pubblico calabrese. Ventitré per i treni valdostani. Mezzo milione per il Comune di Pietrelcina, paese di Padre Pio. Uno per le scuole di Marsciano, in Umbria. Un altro per il restauro del palazzo municipale di Sciacca. Ancora mezzo per la torre anticorsara di Porto Palo. Un milione a Frosinone, tre a Pescara, 25 addirittura a Brindisi. Quindi norme per il Teatro San Carlo di Napoli e la Fenice di Venezia, una minisanatoria per i chioschi sulle spiagge, disposizioni sulle slot machine, sulle isole minori, sulla Croce Rossa, sul terremoto dell’Emilia-Romagna, sui beni sequestrati alla criminalità organizzata. E perfino l’istituzione di una sezione operativa della Direzione investigativa antimafia all’aeroporto di Milano Malpensa per prevenire le infiltrazioni mafiose nell’Expo 2015.

Per non parlare di alcune perle, nel solco della tradizione di estrema trasparenza delle leggi made in Italy. Esempio: «All’articolo 1 del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, il comma 4-bis è abrogato». Abrogato al pari del «terzo comma dell’articolo 2 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 10 aprile 1948, n. 421, ratificato, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 1957, n. 104». Chi ci capisce qualcosa? Alla faccia di quella norma approvata dal Parlamento quattro anni fa, che imporrebbe di scrivere le leggi in modo chiaro e comprensibile a tutti, senza costringere i cittadini a scavare nei codici e nelle Gazzette ufficiali di cinquant’anni prima per capire di che si tratta.

L’addio alle Province nel 2015. Risparmi per un miliardo l’anno. L’articolo a firma di Alessandra Arachi:

Il primo passo per l’abolizione delle Province è quello di abolire le giunte, i presidenti, i consiglieri. Le Province, secondo il ddl Delrio, dovranno essere gestite direttamente dai sindaci, riuniti in assemblee, e si occuperanno soltanto di funzioni di cosidetta area vasta, come la gestione delle strade, la pianificazione delle scuole. Abolire tutta la gestione politica delle Province dovrebbe portare ad un notevole risparmio complessivo.

Enti snelli – Svuotate dalla politica, le Province in questa fase di transizione diventeranno enti di secondo grado e manterranno soltanto le funzioni di cosiddetta area vasta, come la pianificazione del territorio, dell’ambiente, della rete scolastica del territorio. L’unica funzione di gestione diretta riguarderà la pianificazione, costruzione e manutenzione delle strade provinciali. Con la redistribuzione di funzione e personale tra Regioni e Comuni viene redistribuito sia il patrimonio sia il personale, circa 56 mila persone.

Città metropolitane – Sono enti di nuova istituzione e avranno poteri rilevanti, visto che manterranno le funzioni delle Province. Queste città metropolitane non dovranno sparire dopo la fase di transizione. Il ddl Delrio prevede l’istituzione di nove città metropolitane, alle quali si deve aggiungere Roma capitale con una disciplina speciale. Le nove città sono: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze Bari, Napoli e Reggio Calabria che però rimane in sospeso visto che la città è oggi commissariata per motivi di criminalità organizzata. Già previste da una legge del 1990, alle città metropolitane vengono trasferiti patrimonio, risorse e personale della Provincia. Il sindaco della città metropolitana coincide con il sindaco della città capoluogo e avrà un consiglio di consiglieri comunali del territorio e un’assemblea dei sindaci.

Stamina, nuove accuse. “Vannoni si fingeva medico”. L’articolo su La Stampa a firma di Paolo Russo:

Si stringe il cerchio delle indagini giudiziarie intorno a Stamina e a chi ne avrebbe favorito l’ingresso negli ospedali pubblici italiani senza uno studio, un test o qualcosa che ne documentasse la sicurezza e almeno la presunzione di efficacia. Su Davide Vannoni potrebbe scattare a breve la richiesta di rinvio a giudizio anche per «esercizio abusivo della professione medica». Mentre si profila un altro rinvio a giudizio, questa volta per danno erariale, di chi avrebbe aperto le porte degli ospedali pubblici alla Stamina Foundation.

I testimoni sembrano fare oramai la fila davanti alla stanza del Procuratore di Torino, Raffaele Guariniello. I pazienti che avrebbero denunciato di essere stati raggirati per decine di migliaia di euro sarebbero oramai saliti a 70. Ed alcuni di loro riferiscono di un Vannoni in camice bianco e zoccoli ai piedi, che così sarebbe stato fatto girare anche tra i pazienti degli Spedali Civili di Brescia, facendo confondere la sua qualifica di professore in sociologia con quella di medico. Ma il rinvio a giudizio per esercizio abusivo della professione medica poggia sulle carte. In nostro possesso e già sulla scrivania di Guariniello. La prima è datata 24 maggio 2012 ed è rivolta alla direzione sanitaria dell’ospedale Bresciano, dove pochi giorni prima un’ispezione dell’Aifa, oltre a condizioni igieniche incompatibili con una coltivazione cellulare, aveva rilevato anche l’assenza di qualsiasi documentazione sui reagenti utilizzati. Che avrebbero potuto essere anche contaminati con rischi persino letali per i pazienti, avevano denunciato sempre gli uomini dell’Agenzia ministeriale del farmaco. E come risolvono la questione agli Spedali civili? Accontentandosi dell’autocertificazione su atossicità e sterilità degli stessi reagenti, spedita appunto il 24 maggio e firmata non da un medico ma da un laureato in lettere: Davide Vannoni, che per questo e un altro protocollo da lui indirettamente firmato, rischia il rinvio a giudizio per esercizio abusivo della professione medica in aggiunta a quello per «associazione a delinquere finalizzata alla somministrazione di farmaci imperfetti e dannosi alla salute, nonché alla truffa».

Francesco “benedice” i Forconi del dialogo: “Respingete la violenza”. L’articolo su La Stampa a firma di Giacomo Galeazzi:

Mercoledì scorso per l’ala oltranzista dei Forconi la «marcia su Roma» era scolorita in un flop: piazza del Popolo semideserta e pioggia di polemiche. Ieri, invece, Francesco ha riabilitato la parte più dialogante del movimento e ha «benedetto» le ragioni della protesta con un appello a «respingere le tentazioni dello scontro e della violenza» e a seguire sempre «la via del dialogo». La partecipazione all’Angelus di 1500 Forconi con lo striscione «I poveri non possono aspettare» segna una vittoria morale tanto che alle inattese parole di Bergoglio i manifestanti si sono lasciati alla commozione e all’esultanza.

Il Pontefice sempre attento al grido dei poveri, pronto a fare sue le ragioni del disagio, non ha perso occasione per mettersi in ascolto, persino al di là delle attese, di chi è sceso in piazza per invocare lavoro e garanzie contro la chiusura delle piccole aziende travolte dalla crisi. Al momento dei saluti, il Pontefice si è soffermato proprio sullo striscione dei Forconi. «Leggo lì, scritto grande: “I poveri non possono aspettare”. È bello!», ha esclamato a braccio. «E questo mi fa pensare che Gesù è nato in una stalla, non è nato in una casa», ha poi proseguito, interrotto più volte dagli applausi. «E io penso oggi, anche leggendo quella frase, a tante famiglie senza casa, sia perché mai l’hanno avuta, sia perché l’hanno persa per tanti motivi. Famiglia e casa vanno insieme. È molto difficile portare avanti una famiglia senza abitare in una casa». Quindi «in questi giorni di Natale, invito tutti -persone, entità sociali, autorità – a fare tutto il possibile perché ogni famiglia possa avere una casa». E «a quanti dall’Italia si sono radunati oggi per manifestare il loro impegno sociale, auguro di dare un contributo costruttivo».

Il tacco dell’Inter. Batte il Milan con un gol di Palacio Rossoneri sempre più giù in classifica. L’articolo del Corriere della Sera a firma di Fabio Monti:

Il derby di Natale è dell’Inter, come nel 2007. Rispetto a sei anni fa, lo spettacolo è stato modesto, ma il risultato, in una sfida così, conta più di tutto. A decidere la partita, che sembrava destinata a finire 0-0, è stato Rodrigo Palacio, decimo gol e giocata da dieci con un colpo di tacco sul cross di Guarin e sotto la curva Nord, che ha punito il Milan al di là dei propri demeriti e che ora si trova lontano da tutto, a 17 punti dal terzo posto e nella parte destra della classifica. La squadra di Allegri ha giocato per lunghi squarci di partita meglio dell’Inter, ma non è riuscita ad essere compatta fino in fondo, ha pagato i pochi cambi a disposizione e dopo 70’ si è consegnata all’avversario, con un’inversione di tendenza inattesa, rispetto alla ruggente ripresa vista contro la Roma. Mazzarri, dopo tre pareggi (Bologna, Samp e Parma) e una sconfitta (Napoli), ha ritrovato l’Inter che cercava, quella che ha regalato a Thohir il primo successo in campionato, non una squadra straordinaria, semmai il contrario, perché i limiti della rosa sono evidenti, però l’ha impostata nel miglior modo possibile: ha accettato di soffrire per un’ora, non ha perso la testa per un rigore negato, è stata attenta nella prima parte di ripresa e poi, trascinata dalla spinta sulla corsia di sinistra da Nagatomo e migliorata nel gioco con l’inserimento di Kovacic e Kuzmanovic, ha ottenuto il massimo risultato dallo sprint finale.

Il Milan ha dominato a lungo un primo tempo nervoso e povero di bel calcio, mettendo in campo una qualità superiore all’avversario: difesa alta, migliore occupazione degli spazi, buona circolazione della palla, condizione atletica soddisfacente, giocate più efficaci negli ultimi venti metri. È così che Saponara ha mandato in porta Balotelli, aprendogli il campo (salvataggio di Juan Jesus); Kakà ha costretto Handanovic ad un intervento a terra avventuroso; Poli, sull’uscita sbagliata del portiere interista, si è trovato con la porta spalancata, ma ha calciato altissimo. L’Inter ha difeso basso, ha perso molti palloni in mezzo al campo, sulla feroce pressione dell’avversaro, ha fatto fatica ad uscire con la palla, ha subito le giocate rossonere, ha cercato di organizzare un pressing individuale, risultato inefficace, ha fatto fatica a mettere in sequenza tre passaggi di fila e si è affidata alla speranza di restare a galla (colpo di testa alto di Nagatomo) e ha ripreso in mano la partita negli ultimi dieci minuti, quando Zapata ha steso in area Palacio: sarebbe stato rigore (palla solo sfiorata, intervento sulla gamba di appoggio), ma Mazzoleni ha confermato la tendenza di questi mesi e ha sorvolato, infiammando la partita, con scontri anche violenti, mal governati dall’arbitro.