Stipendi superdirigenti, il taglio vale fino a 65 mila euro l’anno

di Redazione Blitz
Pubblicato il 10 Aprile 2014 - 09:40 OLTRE 6 MESI FA
Stipendi superdirigenti, il taglio vale fino a 65 mila euro l’anno

Stipendi superdirigenti, il taglio vale fino a 65 mila euro l’anno

ROMA – I principali dirigenti dello Stato cui sarà tagliato lo stipendio, in una mossa demagogica e illegale, tanto stupida quanto pericolosa (a meno che non ci sia sotto qualche trucco) sono elencati dalla Stampa di Torino, in ginocchio davanti ai giochi di prestigio di Matteo Renzi.

L’elenco vede in testa nomi molto noti agli italiani, attraverso le cronache dei giornali, da Attilio Befera a Daniele Franco, Giovanni Pitruzzella, Alessandro Pansa e Franco Gabrielli.

I nuovi arrivati sanno già che staranno a stecchetto, tant’è che il nuovo segretario generale di palazzo Chigi, Mauro Bonaretti, nominato da Renzi nemmeno venti giorni fa, non sa ancora di preciso quanto guadagnerà. E la voce «compensi connessi all’assunzione della carica» sul sito del governo risulta «in aggiornamento». Al Tesoro, invece, il nuovo capo di gabinetto di Padoan, Roberto Garofoli, ha subito rinunciato a qualsiasi indennità: si fa bastare lo stipendio di magistrato del Consiglio di Stato, mentre a palazzo Chigi in qualità di segretario generale beneficiava di una «aggiunta» di 47mila euro. In bianco, come in tanti altri dicasteri, per ora anche i compensi del vice capo gabinetto Alessandro Tonetti, dei tre capi del legislativo (Simi, Sica e Quadri) e del nuovo capo della segreteria tecnica, Fabrizio Pagani.

Tutti gli altri, i «vecchi», aspettano il taglia-stipendi renziano e fanno due conti partendo dal fatto che il premier ha deciso che nessun dirigente pubblico potrà guadagnare più del presidente della Repubblica, ovvero 238 mila euro. Mentre il tetto precedente, legato allo stipendio del primo presidente di Cassazione, arrivava a quota 302 mila.

Secondo il Servizio politiche territoriali Uil almeno un dirigente su 10 tra quelli di prima fascia, una cinquantina di persone in tutto su 530, subirà un taglio. Che in molti casi sarà pesante. Tutti gli altri, però, dovranno fare ugualmente un qualche sacrificio visto che il governo vuole intervenire su tutti i compensi che superano i 70 mila euro, unico sistema per far davvero cassa.

A pagare dazio saranno soprattutto una dozzina di direttori e segretari generali di ministero e i vertici delle authority che da un giorno all’altro potrebbero perdere anche un quinto di stipendio. Come capiterà ad esempio al Ragioniere generale dello Stato Daniele Franco, il cui ultimo stipendio arrivava a 303.353 euro contro i 562mila del suo predecessore. Il che significa dover rinunciare ad altri 65mila euro. Lo stesso vale per il direttore generale delle Entrate, Attilio Befera, il dg dell’Inps Mauro Nori, il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella e quello dell’Agcom Marcello Cardani tutti a quota 302.900, per proseguire poi col capo della Polizia Alessandro Pansa (301.344), il segretario generale della Farnesina Michele Valensise, che come il capo di gabinetto del Viminale, Luciana Lamorgese, ha uno stipendio di 301.320 euro.

A palazzo Chigi su 32 dirigenti «apicali», stando alle tabelle pubblicate in ossequio alle norme sulla trasparenza, solo il Capo della Protezione civile Franco Gabrielli, sfora il nuovo tetto con uno stipendio di 296 mila euro. Tutti gli altri oscillano tra 200 e 218 mila, a parte il vice segretario generale uscente Luigi Ferrara che arriva a 236 mila euro e scampa la tagliola. A rischio cumulo poi ci sono i dirigenti in distacco di cui non si conoscono gli stipendi dell’amministrazione di appartenenza: gli ultimi dati ufficiali parlano di 45-48mila euro che guadagnavano in più magistrati come Antonio Attanasio, Umberto De Augustinibus e Carlo Deodato, dei 91 mila euro di Vincenzo Grassi (in distacco dalla Farnesina) sino ai 126 mila aggiuntivi assegnati a Aldo Mancuri dirigente dello Sviluppo economico. Difficile immaginare che tutti loro non sforino quota-238mila.

Al Tesoro, oltre a Franco, dovranno «tirare la cinghia» anche il Direttore generale Vincenzo La Via (293 mila euro di stipendio annuo), mentre il dg delle Finanze Fabrizio Pecorella (279.148) e il capo del dipartimento Amministrazione generale Giuseppina Baffi (279.780) perderanno «solo» 40mila euro. Le statistiche più recenti segnalavano stipendi particolarmente alti al ministero dell’Agricoltura ed il controllo diretto sui dati disponibili nel sito politicheagricole.it lo conferma: su 12 dirigenti di prima fascia ben 6 sforano. Si tratta di Gianluca Maria Esposito, capo dipartimento Politiche competitive e qualità (274.647), Giuseppe Blasi , capo dipartimento Politiche europee (274.679), Francesco Ruffo Scaletta (presidente agenzia sviluppo ippico, 251.679), Giuseppe Cacopardi (capo dipartimento Sviluppo rurale, 248.551), oltre a Mario Catania (in aspettativa in quanto eletto in Parlamento, 242.624 euro) e Giuseppe Serino, che sino all’anno passato guadagnava ben 293.364 euro l’anno. Poi è finito indagato nell’ambito di inchiesta su mazzette e mozzarelle ed è andato in pensione. Tra i fuori quota, quando ministro era Nunzia di Girolamo, anche il capo di gabinetto del dicastero, Michele Corradino (293.370).

Anche alla Salute non scherzano: il capo dipartimento Sanità pubblica Romano Marabelli, in base ai ruoli 2013, risulta il più pagato con 277.448 euro. Dietro di lui il capo programmazione sanitaria Filippo Palumbo (244.451 euro) e il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Fabrizio Oleari (242.911).

Al ministero di Grazia e giustizia sono in 4 i «fuori quota»: il capo dipartimento Giustizia minorile Caterina Chimici e il capo dipartimento Affari di giustizia Simonetta Matone, entrambe con un reddito di 248.450 euro, il vice capo dipartimento Affari di giustizia Anna Maria Palma (245.270) e soprattutto il direttore del Dap, Giovanni Tamburino, che svetta su tutti con 301.320 euro. Anche per lui via 60 mila euro. Alla Farnesina oltre a Valensise nella lista dei tagli, in base alle tabelle ministeriali, finiscono il capo di gabinetto ed il vicesegretario generale di turno (entrambi a 273.171 euro) ed il direttore generale (262.905). Al ministero dello Sviluppo un solo dirigente risulta fuori quota: si tratta di Sabina de Luca, capo dipartimento coesione, soprannominata anche «la signora dei fondi europei» che con i suoi 262.400 euro stacca decine e decine di altri colleghi (…)

Ma il peggio per i dirigenti statali sembra ancora da arrivare, a quanto scrive Francesco Bisozzi sul Messaggero:

Per i funzionari della Pubblica amministrazione le cattive notizie sembrano non finire mai. Il decreto legge sull’Irpef, in arrivo la prossima settimana, potrebbe contenere un’altra sorpresa amara per quel che concerne i compensi versati al personale della Pa. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che durante la conferenza stampa di martedì sera dedicata al Def ha annunciato di voler porre un tetto ai salari dei manager pubblici, operazione dalla quale conta di ricavare circa 400 milioni di euro, starebbe pensando a un’ulteriore sforbiciata alle retribuzioni sotto bersaglio.

Due le ipotesi all’esame di Palazzo Chigi. La prima consisterebbe nel ricalcare lo schema dei prelievi sulle pensioni d’oro, con aliquote del 6 per cento per gli importi superiori a 90mila euro lordi e del 18 per cento per quelli che oltrepassano il muro dei 180mila euro. La seconda invece si baserebbe su tagli progressivi a partire dagli stipendi sopra quota 70mila euro lordi l’anno. Tagli che, in quest’ultimo caso, porterebbero nelle casse del Paese circa un miliardo e mezzo di euro. Somma che andrebbe ad aggiungersi ai circa 400 milioni previsti in entrata grazie all’introduzione del nuovo limite massimo destinato alle buste paga dei manager dello Stato.

L’idea dei tagli progressivi non è nuova. Il premier avrebbe ripescato una proposta di legge presentata nelle scorse settimane dal presidente della commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia, ex consigliere economico di Enrico Letta, nella quale sono previsti tagli progressivi, modello Irpef, sui compensi che sforano i 70mila euro lordi. Più nel dettaglio, la proposta di legge di Boccia auspica una riduzione compresa tra il 20 e il 40 per cento a seconda delle dimensioni del reddito da snellire: per la parte eccedente gli importi pari a 70mila euro annui lordi l’aliquota individuata dal presidente della commissione Bilancio di Montecitorio ammonta al 20 per cento, e sale fino al quaranta per cento quando i compensi superano i 180mila euro lordi.

La sforbiciata alla quale starebbe pensando Palazzo Chigi riguarderebbe circa il 7 per cento dei funzionari pubblici. Analizzando le rilevazioni della Ragioneria dello Stato, aggiornate al 2012, è possibile stimare che la manovra andrebbe a colpire circa 120mila funzionari. Che, in media, guadagnano oggi poco più di 97mila euro lordi l’anno. Allo Stato, sempre sulla base dei dati in possesso della Rgs guidata da Daniele Franco, costerebbero oltre 15 miliardi di euro (…)