“Voglio capire chi mi ha venduto”. La sfida di Riina al Colle. Bolzoni, Repubblica

di Redazione Blitz
Pubblicato il 9 Ottobre 2014 - 14:14 OLTRE 6 MESI FA
“Voglio capire chi mi ha venduto”. La sfida di Riina al Colle. Bolzoni, Repubblica

“Voglio capire chi mi ha venduto”. La sfida di Riina al Colle. Bolzoni, Repubblica

ROMA – “Riina Salvatore, detenuto, presente, collegato in video conferenza nel carcere di Parma. Riina Salvatore, detenuto, presente. Riina Salvatore, presente. Sempre presente. Non si è mai perso solo una delle cinquanta udienze fin qui celebrate del processo sulla trattativa Statomafia – scrive Attilio Bolzoni di Repubblica – Mai, neanche un minuto. Perché? Perché vuole scoprire chi l’ha fottuto”.

L’articolo completo:

Condannato a una ventina di ergastoli, sacrificato sull’altare di un patto che lui non voleva, catturato in circostanze mai chiarite, quello che per due decenni è stato indicato come il capo dei capi a 84 anni (li farà il prossimo 16 novembre) e un destino segnato anche per tutta la sua marmaglia, ormai ha solo un obiettivo: conoscere i nomi degli uomini che l’hanno venduto per trovare un accordo.
È spiegata così la sua ossessiva partecipazione a ogni udienza — mai era capitato prima, in nessun altro dibattimento — e non farà sicuramente eccezione con la deposizione di Giorgio Napolitano se la corte di assise oggi deciderà che lui e gli altri imputati potranno presenziare. «Andare al Quirinale è un atto dovuto», scrive nella sua memoria difensiva l’avvocato del boss Luca Cianferoni, osservando che «il tono e il lessico usati dal dottor D’Ambrosio (il consigliere giuridico del Presidente, ndr) implicano necessariamente che Napolitano potesse conoscere gli argomenti dei quali gli stava parlando».
Avvocato a parte, Totò Riina non ha una strategia ma un pensiero fisso. Chi lo conosce da vicino sa che per lui quest’udienza è come le altre, speciale come tutte le altre. O parla il Presidente o parla un teste sconosciuto al grande pubblico a lui poco importa, per Riina conta solo una cosa: sentire, intuire, capire. Avere qualche informazione in più per ricostruire come il 15 gennaio del 1993 — giorno del suo arresto — è scivolato in una trappola. E chi ce l’ha spinto.
Per cinquanta udienze ha registrato nel suo cervello ogni parola. E ha tratto ispirazione per quelle sue chiacchiere nel camminatoio di Opera con Alberto Lo Russo, ragionamenti e rabbia, minacce vere e dubbi. Il verbo di Totò Riina raccolto in 1052 pagine di intercettazioni ambientali che sono l’effetto di tutto ciò che ha visto e sentito in quell’aula. Le facce dei generali, i baci lanciati da Massimo Ciancimino, le inquietudini dei pm, le dichiarazioni di altri mafiosi. Non c’è sospiro del boss che non provenga da quel processo. Prima ha ascoltato in videoconferenza e poi ha parlato nella cimice. Dei magistrati che vorrebbe ammazzare («La fine dei tonni»), i piani di morte per don Ciotti, i sospetti sulla sua cattura e l’incredulità sul suo covo mai perquisito. Perfino lui — l’ultimo che non dovrebbe rammaricarsi per la mancata perquisizione da parte dei carabinieri del Ros della sua casa — non riesce ancora oggi a farsi una ragione sul perché i reparti speciali del colonnello Mori (per iniziativa personale o su mandato di qualcun altro?) abbiano abbandonato l’abitazione lasciandola svuotare con tranquillità nei giorni successivi.
Ecco cosa vuole conoscere Totò Riina dal processo sulla trattativa Stato-mafia: udienza dopo udienza tenta di riconoscere la trama che l’ha imbrigliato, prova a individuare i personaggi — al di là delle apparenze o di verità giudiziarie fino ad ora accertate — che l’hanno incastrato. Totò Riina è consapevole che, dopo le stragi del 1992, è stato lui stesso l’«oggetto» principale della famigerata trattativa. Lui e la sua misteriosissima cattura. L’hanno messo nel sacco.
Ed è ancora più consapevole — anzi, lo sa — che quelle stragi sono state decise non solo in Sicilia ma anche altrove, segnando contemporaneamente la fine della sua Cosa Nostra. Ecco perché il boss è sempre presente. Ecco perché è «dentro» questo processo e non molla la presa. Al Quirinale come all’aula bunker di Palermo.
In quasi vent’anni non aveva mai aperto bocca nella sua cella tomba, solo qualche innocua conversazione con il figlio Giovanni sul Giro d’Italia e su Corleone. Da quando c’è il processo è un fiume in piena, dice tutto e niente, avverte, farnetica e pontifica. Se certi collaboratori di giustizia misurano le parole nonostante il pentimento, Totò Riina va oltre, molto oltre. Quando per la prima volta ha mostrato questo volto inedito? Quando ha deciso che era l’ora di parlare? Quando l’inchiesta era appena cominciata, cinque anni fa. Prime indagini sulla trattativa e ribaltamento di quelle sull’attentato all’Addaura contro Giovanni Falcone, sui depistaggi di via D’Amelio, sulle «presenze estranee» a Cosa Nostra prima e dopo le stragi. E il silenzioso Totò Riina ha fatto subito sapere: «L’ammazzarono loro… non guardate sempre e solo a me, guardatevi dentro anche voi».