Gli indagati per violenza sessuale non dovranno per forza essere costretti alla custodia cautelare in carcere ma potranno godere di altre misure meno restrittive. Lo ha deciso la Corte Costituzionale.
Nei procedimenti per violenza sessuale, atti sessuali con minorenni e prostituzione minorile il giudice non è dunque più obbligato a disporre o a mantenere la custodia in carcere dell’indagato, ma può applicare misure cautelari alternative se vengono raccolti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari siano comunque soddisfatte. La Consulta ha perciò dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’articolo 275 del codice di procedura penale.
A partire dal 2009, con l’approvazione da parte del Parlamento della legge di contrasto alla violenza sessuale – nata sulla base di un diffuso allarme sociale legato alla recrudescenza di episodi di aggressioni alle donne – non era consentito al giudice (salvo che non vi fossero esigenze cautelari) di applicare, per i tre delitti sessuali al vaglio della Corte Costituzionale, misure cautelari diverse e meno afflittive della custodia in carcere alla persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza. La Consulta ha ora ritenuto la norma in contrasto con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (liberta’ personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione e ha detto sì alle alternative al carcere ”nell’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfate con altre misure”.
La Consulta era stata investita della questione da diverse autorita’ giudiziarie, le quali, avevano, tra l’altro, osservato che l’obbligo di disporre, come unica misura cautelare, la custodia in carcere dell’indagato e’ prevista nel nostro ordinamento, oltre che per i delitti sessuali, solo per i reati di mafia. La Corte Costituzionale ha osservato, nella sentenza n. 265 (scritta da Giuseppe Frigo), che ”per quanto odiosi e riprovevoli, i fatti che integrano i delitti in questione ben possono essere e in effetti spesso sono meramente individuali e tali, per le loro connotazioni, da non postulare esigenze cautelari affrontabili solo e rigidamente con la misura massima”, cioe’ il carcere.
Inoltre, la Corte ha ritenuto ingiustificata l’equiparazione dei delitti sessuali ai delitti di mafia; e ha osservato che la funzione di rimuovere l’allarme sociale ”e’ una funzione istituzionale della pena”, conseguenza di un giudizio definitivo di responsabilita’, e non puo’ essere affidata alla fase antecedente a un giudizio di colpevolezza. In definitiva – conclude la Consulta – la norma che dispone obbligatoriamente la custodia in carcere dell’indagato per delitti sessuali e’ illegittima perche’ viola l’articolo 3 della Costituzione ”per l’ingiustificata parificazione” dei procedimenti a quelli concernenti i delitti di mafia; l’articolo 13, che costituisce il fondamento del regime ordinario delle misure cautelari; l’articolo 27, in quanto attribuisce alle misure cautelari funzioni tipiche della pena.
Mara Carfagna: la Corte sbaglia. La Consulta ”sbaglia. Chi stupra donne e bambini merita il carcere”. E’ il commento del ministro per le pari opportunita’, Mara Carfagna. ”Non esiste – ha osservato – e non possiamo accettare una ‘classifica della brutalita”: per noi, cioe’ per coloro che hanno scritto ed approvato questa legge, chi violenta una donna o, peggio, un bambino deve filare dritto in carcere, senza scusanti, da subito”. ”L’intervento della Corte – ha continuato Carfagna – e’ giustificazionista, lontano dal sentire dei cittadini, e, purtroppo, ci allontana, sebbene di poco, dalla strada verso il rigore e la tolleranza zero contro i crimini sessuali che questa maggioranza ha intrapreso sin dall’inizio della legislatura”.
”Sono sicura – ha sottolineato ancora il ministro Carfagna – che i magistrati continueranno a dimostrare la dovuta sensibilita’ nei confronti di questi reati odiosi, valutando con estrema severita’ le esigenze di carcerazione preventiva di chi li commette. Restano in vigore tutte le altre parti del provvedimento e tra queste l’ eliminazione dei benefici premiali, quali arresti domiciliari o sconti di pena, la difesa gratuita per le vittime e le aggravanti grazie alle quali ora chi stupra una donna rischia fino a 14 anni di carcere”.
Telefono rosa: siamo preoccupate. La decisione della Consulta di prevedere misure alternative alla detenzione in carcere per reati sessuali su minorenni ”preoccupa” Telefono Rosa. ”Mi chiedo – afferma la presidente Gabriella Carnieri Moscatelli – se in un momento in cui scorre sangue a fiotti per le donne, oggetto di violenza, se persone che si macchiano di questi reati debbano essere rimessi in giro. Come ci cauteliamo?”. Sottolineando che la decisione della Corte Costituzionale dovra’ essere approfondita, la presidente dell’associazione impegnata contro la violenza alle donne sostiene che ”se queste persone sono in carcere, ci sara’ pure un motivo. Mi preoccupa soprattutto il caso in cui ad essere autore della violenza sia un familiare. In questo caso, come si puo’ pensare ad esempio di far stare un padre o un fratello che hanno abusato della figlia o della sorella agli arresti domiciliari? Devo leggere la sentenza – aggiunge Carnieri Moscatelli – ma comunque mi preoccupa soprattutto perche’ arriva in un momento di violenze fuori controllo contro le donne. Credo questo sia pericoloso”.