Soldi pubblici all’editoria: il finanziamento resiste fino al 2011. Ecco chi ci guadagna

Pubblicato il 15 Novembre 2010 - 16:35 OLTRE 6 MESI FA

Alla fine i soldi per l’editoria sono arrivati e tanti piccoli giornali tirano un sospiro di sollievo.  Il colpo finale si è materializzato nella serata di venerdì quando, all’ultimo momento utile, nel maxi-emendamento alla Finanziaria, come spiega il Fatto Quotidiano, “i soldi all’editoria sono passati da 60 a 100 milioni, che si aggiugono agli 80 già previsti”.

La proposta, precisa il quotidiano diretto da Antonio Padellaro (che del giro dei soldi pubblici non fa parte) ha goduto di un gradimento bipartisan ma nasce dall’iniziativa di tre deputati finiani: Chiara Moroni, Nino Lopresti e Aldo Di Biagio. Obiettivo, secondo il Fatto, salvare il quotidiano storico di An, Il Secolo d’Italia, (1800 copie vendute e un buco di bilancio, nel 2009, da un milione di euro).

Ai finiani, ipotizza nel pezzo Stefano Feltri, interessano anche le sorti del Roma, quotidiano napoletano di proprietà della famiglia di Italo Bocchino (8000 copie di venduto reale, 7,5 milioni di euro di debiti e 354 mila euro di perdite). Al Roma arrivano 2,5 milioni di euro: ossigeno fondamentale per tirare avanti per un quotidiano che, come soci, ha la moglie di Bocchino Gabriella Buontempo e il cognato Antonio Schiavone.

Ma i contributi non sono manna per soli finiani, anzi. Spiega sempre il fatto che Libero, quotidiano della famiglia Angelucci, deve ancora ricevere dallo Stato circa 6 milioni tra 2008 e 2009 e non poteva permettersi una contrazione degli utili per il 2011. Quanto all’altro quotidiano di Angelucci, il Riformista, risulta in vendita ma, un taglio dei contributi potrebbe renderlo fuori mercato anche per i potenziali interessati, Enrico Cisnetto in testa.

Poi c’è la sinistra, col Manifesto che rischia comunque la chiusura. I debiti sono di 19 milioni e la perdita è di circa 300 mila euro l’anno: i 4 milioni legati alla proroga del “diritto soggettivo” sono l’unica speranza di provare a risalire la china. Liberazione, all’emendamento plaude platealmente in prima pagina, con il titolo: “Un po’ di ossigeno”.

Infine l’Avanti, di quel Valter Lavitola diventato un nome noto solo in seguito all’affare della casa di Montecarlo. L’Avanti vende, almeno dichiara di farlo, 3.500 copie. Eppure perde 2.3 milioni di euro l’anno. Niente paura: ne incassa 2,5. A che serve, sennò, un maxiemendamento?