Colesterolo ‘troppo perfetto’? Gli esperti spiegano perché potrebbe favorire il diabete (blitquotidiano.it)
Per anni abbiamo sentito dire che l’obiettivo principale, per proteggere cuore e arterie, fosse tenere il colesterolo LDL il più basso possibile. Questo valore, considerato il “colesterolo cattivo”, è tra i principali responsabili dell’accumulo di placche nelle arterie e dell’aumento del rischio di infarto e ictus. Eppure, una nuova ricerca italiana suggerisce qualcosa di inaspettato: livelli molto bassi di LDL potrebbero essere associati a un rischio più elevato di sviluppare diabete di tipo 2, a prescindere dall’uso di statine.
Il tema è complesso e affascinante, soprattutto perché ribalta un luogo comune diffuso e apre una nuova prospettiva sulla relazione tra metabolismo, colesterolo e glicemia. L’obiettivo non è creare allarmismi, ma comprendere meglio come funziona il nostro corpo e perché l’equilibrio, anche quando si parla di grassi nel sangue, resta fondamentale.
Il ruolo del colesterolo LDL e perché non va eliminato del tutto
Il colesterolo svolge funzioni essenziali: è un componente delle membrane cellulari, permette la produzione di alcuni ormoni e partecipa alla sintesi della vitamina D. L’LDL, pur essendo spesso demonizzato, è indispensabile. Il problema nasce quando è troppo alto, non quando esiste.
Secondo la maggior parte delle linee guida, un valore intorno o inferiore a 100 mg/dL è considerato ottimale per la salute cardiovascolare. Ma cosa succede se i livelli scendono molto al di sotto di questa soglia? È proprio su questa domanda che si concentra la nuova ricerca.
Lo studio
La ricerca è stata realizzata analizzando i dati digitali di oltre 13.000 persone seguite da medici di base nel territorio di Napoli. Tutte erano prive di diabete e malattie cardiovascolari al momento dell’inizio della raccolta dati, e circa la metà assumeva già statine per controllare il colesterolo.
Il follow-up, durato oltre sei anni, ha mostrato che chi presentava livelli molto bassi di LDL aveva una probabilità più alta di sviluppare diabete di tipo 2, anche quando non assumeva statine. Questo è un punto cruciale, perché finora il rischio era stato attribuito quasi esclusivamente ai farmaci ipolipemizzanti.
Il trend osservato dai ricercatori è stato molto chiaro: il rischio di diabete diminuiva gradualmente man mano che i livelli di LDL aumentavano. Al contrario, le persone con i valori più bassi erano quelle che, nel tempo, mostravano un maggior numero di nuove diagnosi.
Statine e diabete: una relazione che esiste, ma va interpretata correttamente

Il collegamento tra statine e aumento del rischio di diabete non è una novità. Numerosi studi hanno già osservato che questi farmaci possono ridurre la sensibilità all’insulina e interferire, in parte, con la capacità del pancreas di secernere questo ormone. Si parla però di un aumento lieve e relativo, che non supera i benefici enormi sulla prevenzione di infarti e ictus.
La ricerca italiana, tuttavia, va oltre, perché solleva l’ipotesi che una parte del rischio possa derivare dai valori di LDL molto bassi di per sé, e non solo dall’uso dei farmaci. Questo non cambia le indicazioni terapeutiche, né mette in discussione l’efficacia delle statine, ma apre una riflessione più ampia sul metabolismo.
Perché un LDL molto basso potrebbe favorire il diabete?
Secondo gli autori dello studio, una delle chiavi potrebbe essere la funzione delle cellule beta del pancreas. Queste cellule, che producono insulina, hanno bisogno di una certa quantità di colesterolo per lavorare correttamente. Se il colesterolo disponibile diventa troppo poco, alcuni meccanismi cellulari potrebbero alterarsi, compromettendo la capacità di regolare la glicemia.
Inoltre, livelli bassissimi di LDL potrebbero essere un segnale che qualcosa, a livello metabolico, non funziona nel modo giusto. Spesso le persone con LDL basso spontaneo hanno anche un profilo metabolico particolare, con più ipertensione, un BMI più alto e una predisposizione a disturbi glicemici.
Non si tratta dunque di un semplice nesso causa-effetto, ma di un insieme di fattori che si intrecciano e raccontano una storia più complessa.
Cosa significa per chi ha il colesterolo basso o assume statine
La prima cosa da chiarire è che non bisogna smettere di assumere statine. Tutti gli esperti coinvolti nello studio hanno ribadito che i benefici cardiovascolari sono immensamente superiori al piccolo aumento del rischio di diabete. Le statine restano la terapia più efficace nel ridurre il rischio di eventi cardiovascolari gravi, e nessuna evidenza suggerisce il contrario.
Ciò che cambia è la prospettiva clinica: chi ha un LDL particolarmente basso, sia perché assume farmaci sia per predisposizione naturale, potrebbe beneficiare di un monitoraggio più attento della glicemia. Un controllo periodico può permettere di intercettare precocemente eventuali alterazioni del metabolismo e intervenire con lo stile di vita o, se necessario, con farmaci specifici.
La ricerca sottolinea un punto molto importante: la medicina sta andando verso una personalizzazione sempre più spinta. Non basta più abbassare il colesterolo in modo indiscriminato, ma occorre farlo tenendo conto dell’equilibrio metabolico complessivo del paziente.
Insieme alle statine, oggi esistono altre terapie — come ezetimibe e gli anticorpi monoclonali anti-PCSK9 — che permettono di modulare la riduzione del colesterolo in maniera più mirata. Questo offre nuove possibilità, soprattutto per chi ha già fattori di rischio per il diabete.
