ROMA – Il Vangelo di domenica 5 ottobre 2014 è tratto dal Vangelo secondo Matteo (21,33-43)
“In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
Il commento di padre David M. Turoldo:
Gesù racconta la parabola dei vignaioli omicidi a Gerusalemme, nel tempio, a una settimana dalla sua passione e morte e – sottolinea il Vangelo di Matteo (21,23) – si rivolge direttamente ai capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo.
Come nel “carme della vigna” di Isaia, anche qui tu vedi l’amore appassionato di Dio per la sua vigna: amore che è minuziosamente descritto con una raffica di sette verbi: piantò [una vigna] , la circondò [con una siepe], scavò [una buca per il torchio], costruì [una torre], la diede in affitto [a dei contadini], se ne andò lontano, mandò [i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto].
Dal rapporto padrone-vigna della pagina di Isaia, si passa nel Vangelo di Matteo al rapporto padrone-vignaioli della parabola di Gesù.
Alla vigna che produce uva selvatica, si sostituiscono i vignaioli omicidi che non vogliono consegnare i frutti al padrone e ammazzano per due volte i servi venuti a ritirarli e perfino il figlio erede. E tutto ciò col progetto malvagio di impossessarsi della vigna.
Ai capi dei sacerdoti e agli anziani che sono lì ad ascoltarlo Gesù pone la domanda drammatica: “Quando verrà il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini? “.
Gli rispondono, inevitabilmente: “Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo“.
Una nota della Bibbia di Gerusalemme dice: “Più che parabola [un racconto che nel suo insieme presenta un insegnamento] si direbbe un’allegoria [racconto dove tutti i particolari hanno un significato proprio e richiedono un’interpretazione speciale], perché ogni tratto del racconto ha un significato: il proprietario è Dio; la vigna, il popolo eletto Israele; i servi, i profeti; il figlio, Gesù ucciso fuori delle mura di Gerusalemme; i vignaioli omicidi, i giudei infedeli; gli altri contadini, a cui sarà affidata la vigna, i pagani”.Dunque:
– Il padrone è Dio, che ha prodigato tante cure e manifestato un amore immenso per il suo popolo.
– La siepe è la Toràh (la Legge), e la Parola e i Sacramenti con cui oggi Gesù custodisce la sua Chiesa.
– I vignaioli sono i capi, le guide religiose e politiche, tutti coloro che hanno il compito di lavorare nella comunità perché produca frutti.
– I frutti che il padrone si attende, cioè opere di amore al prossimo e di giustizia sociale.
– I due gruppi di servi sono gli uomini di Dio mandati prima e dopo l’esilio di Babilonia per richiamare ad Israele la fedeltà all’alleanza.
– Il figlio è Gesù, che i capi del popolo prendono,condannano, uccidono fuori delle mura della città.
– Il risultato finale è la consegna della vigna ad altri lavoratori, che porteranno frutti: malgrado tutti i rifiuti e le violenze dell’uomo, alla fine Dio trova sempre e comunque il modo di raggiungere il suo disegno di amore ottenendo frutti buoni per l’umanità intera.Effettivamente, Egli si prende cura della sua Chiesa! E noi, nella prospettiva che il Regno può esserci tolto e dato ad altri che lo faranno fruttificare, non dobbiamo lasciarci ingannare come fosse una minaccia senza effetto, né, d’altra parte, lasciarci bloccare dalla paura. Dio infatti non cessa mai di operare per la salvezza e la felicità dell’umanità intera ed insieme ci invita a cooperare con lui e a considerare l’urgenza del compito. Non ha il diritto di avvertirci, al momento giusto, se noi non diamo più il nostro contributo e il nostro amore sta raffreddandosi?
Una parola giudicata “dura” ma che viene da Dio, è sempre una parola efficace. Sì, che ella scuota e disturbi. Ma faccia rivivere!In questa parabola l’evangelista certamente tiene presente la tensione che allora correva tra la Chiesa appena nata e il popolo d’Israele, a cui appartenevano Cristo e i primi cristiani. Infatti la finale della parabola è esplicita: il padrone darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo. Il rifiuto d’Israele, però, viene letto come un segno universale e non razziale: rappresenta cioè ogni peccato e ogni incredulità, come l’accoglienza del nuovo popolo che fa fruttificare la vigna non è che la continuazione dell’Israele fedele che accolse la voce dei profeti ed ebbe fede. Dunque: la parabola è per tutti in ogni sua parte. Dice il teologo von Balthasar:
“La parabola non si troverebbe nel Nuovo Testamento se non si riferisse anche alla Chiesa. Come dicono le parole conclusive, essa è il popolo a cui viene trasferito il regno di Dio tolto a Israele, affinché Dio finalmente riceva il frutto che aspetta. Domandiamoci se, dalla Chiesa come noi la rappresentiamo, Egli lo riceva realmente. Lo riceve dai servi mandati nella Chiesa, soprattutto dai santi incaricati (canonizzati o meno), ma la domanda rivoltaci rimane: come li ha accolti la Chiesa e come ancora li accoglie? Per lo più male, assai spesso non li accoglie affatto, alcuni (anche papi, vescovi, preti appartengono ad essi) sperimentano una specie di martirio all’interno della Chiesa stessa: rigetto, sospetto, ironia e disprezzo. E se per questo dopo la morte vengono canonizzati, quante volte la loro immagine viene falsificata secondo le voglie della gente: Agostino diventa colui che ha introdotto la caccia agli eretici, Francesco un entusiasta della natura, Ignazio un astuto stratega, e così via. Le parole di Gesù restano vere nei tempi: “Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua” (Mc.6, 4). E chiunque nella Chiesa avrà da interrogarsi se la delusione di Dio per la vigna da lui piantata – “perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi [uva selvatica] ? – non riguardi personalmente anche lui, che è abituato ad accusare la Chiesa come tale”.
“Rendici degni, Signore, di essere tuoi testimoni davanti a tutti i poveri del mondo, davanti a quanti ti cercano, o Dio: e tutti sappiano come ti servi di noi: di noi, perché fra tutti, siamo i più meschini!”.
Commento di padre Pierluigi Mirra:
Il tema della vigna ,in questa liturgia domenicale, cade a proposito,mentre nella vigne è ancora in atto la vendemmia. Tema presente sia in Isaia che nel brano del Vangelo di Matteo.
Nel brano di Isaia,alla luce della vendemmia alla quale anche il Profeta sembra ispirarsi, c’è anche il tema del giudizio di Dio e del popolo identificato con la vigna.
Scelte viti ha pianto il “mio diletto”,ma sembra che la vigna stessa si sia imbastardita e inselvatichita,tanto da far desiderare al padrone di abbattere ogni cosa e di rendere la vigna un deserto.
La Parabola di Gesù, riportata da Matteo, riecheggia la situazione abbozzata dal Profeta, con personaggi diversi che agiscono in modo da sfidare i piani del padrone e provocarne l’ira .
E’ il tema della delusione di Dio nei confronti dell’uomo, che nonostante tutto però Dio non evita. Egli da sempre ci ha amati,e per noi uomini ha sognato grandi cose,ci ha consegnata nelle mani il creato,rivestendoci l’animo di doti e qualità da porre in atto ,per costruire fin da quaggiù quel regno di amore da lui sognato. Ma al suo sguardo sembra che noi,spesso, come i vignaioli della Parabola, abbiamo non solo nicchiato, forse rifugiandosi nella pigrizia e nella ignavia, ma abbiamo preso come gente scomoda coloro che Dio ci mandava per ricordarci le nostre responsabilità.
E la storia di sempre è piena di queste gesti di irresponsabilità messe in atto dall’uomo nei confronti dei “servi del Signore”,ed è bagnata dal sangue e dalle lacrime di tantissimi Profeti e Santi, che il Padrone ha mandato ai vignaioli a cui Dio aveva donato e affidato la sua vigna.
Nella Parabola non è soltanto in ballo il popolo ebreo con il suo rifiuto di non accettare il Messia,Cristo Gesù,e di averlo condannato a morte infame, ma c’è la storia e la responsabilità di tutti coloro che hanno ricevuto fiducia e doni da Dio,e lo hanno deluso. E non abbiamo capito che eludendo i piani di Dio,abbiamo scritto con le nostre stesse mani la nostra condanna.
Allora, prima di rovinare la vigna e di portare le viti alla morte, ci conviene forse accettare i consigli di Paolo Apostolo posti nel finale della sua Lettera i Filippesi. Egli ci esorta a curare la vigna offertaci da Dio,a cercare il suo aiuto nella invocazione e nella preghiera,a esporre a lui le difficoltà nel realizzare i suoi sogni e le sue spettati ove,e mai dimenticarci che quello che siamo e abbiamo è un dono di Dio,perciò di ciò saperlo anche ringraziarlo.
Ponendoci in questa dimensione,avremo il cuore sereno,e saremo in pace,non solo, ma avremo forza per portare i frutti che durano nella vigna affidataci,e sapremo offrire ai nostri fratelli che vengono a visitarci i frutti delle uve dorate al sole di Dio.
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