
La grande bellezza: una riflessione sull'Italia contemporanea - Blitz Quotidiano
Sono passati più di 10 anni dall’uscita nei cinema de La grande bellezza, la pluri-premiata pellicola di Paolo Sorrentino, a cui è stato anche attribuito l’Oscar come Miglior film straniero. Eppure, il ricordo di quell’affresco di Roma contemporanea visto attraverso gli occhi di Jep Gambardella, non sembra esser svanito.
Alla ricerca di nuovi significati
Il protagonista della pellicola, giornalista e scrittore di successo, vive immerso nella mondanità romana, frequentando salotti esclusivi e feste sfarzose sui terrazzi della Capitale, con vista sui monumenti più celebri.
È un personaggio che ha visto scorrere sotto i propri occhi decenni di storia, e ha visto i cambiamenti nelle preferenze e nelle tendenze, un tempo suoi coetanei: il passaggio dalla frequenza di piccoli club alle grandi discoteche platinate, dalle case da gioco ai casino online, dai tavoli di un bar agli aperitivi sulle terrazze, dalle taverne di quartiere ai pub, dai cinema parrocchiali ai multisala, dalle passeggiate in centro alla movida nelle zone più trendy e moderne. Insomma, Jep Gambardella è il testimone privilegiato di una trasformazione epocale nel modo di vivere il divertimento e la socialità . La sua Roma, quella immortalata da Sorrentino, diventa così lo specchio di un’evoluzione che ha investito l’intera società italiana.
Gli episodi del film
La narrazione di Sorrentino si sviluppa attraverso una serie di episodi che rivelano gradualmente la profondità nascosta del protagonista. Contrariamente a quanto si possa pensare dalle prime immagini, infatti, Jep non è semplicemente un dandy cinico, ma un uomo che ha rinunciato alla scrittura più impegnata e al successo del suo primo romanzo giovanile: una metafora più ampia del compromesso che in fondo caratterizza la società contemporanea, dove il talento è spesso costretto ad adattarsi alle logiche del mercato, piuttosto che perseguire la propria autenticità artistica.
La presenza di Roma
In tutto ciò, la Roma di Sorrentino si presenta agli occhi dello spettatore come se fosse un personaggio a sé stante, con i suoi costanti contrasti tra sacro e profano, tra antico e moderno. Le inquadrature della città eterna, accompagnate da un’efficace colonna sonora, creano un’atmosfera che trasforma la realtà in una sorta di sogno dai richiami barocchi.
Non stupisce, dunque, che si crei un susseguirsi di visioni di palazzi storici, chiese e piazze, che diventano scenografie teatrali dove si consuma il dramma esistenziale dei personaggi. Il cast di comprimari che circonda Jep rappresenta un campionario dell’umanità romana e fa il resto per caricare di maggiore significato le avventure di Gambardella: troviamo infatti l’editore cinico, la nobildonna decaduta, l’artista contemporanea. Ognuno di questi personaggi porta con sé una storia di compromessi e di disillusioni, ma anche di piccole epifanie che illuminano la ricerca di bellezza autentica in un mondo sempre più artificiale.
In tutto ciò, la “grande bellezza” del titolo non è solo quella monumentale di Roma, ma quella più sfuggente dell’arte, dell’amore, della spiritualità , con Sorrentino abile, come di consueto, a suggerire che questa bellezza esiste ancora, nascosta dietro le maschere sociali e le convenzioni, ma richiede uno sguardo più profondo per essere riconosciuta. Il film diventa così un invito alla contemplazione, un richiamo a rallentare il ritmo frenetico della modernità per riscoprire ciò che davvero conta.
La tecnica cinematografica di Sorrentino, influenzata dal cinema di Fellini ma con una sensibilità contemporanea, accentua questa ricerca, con l’uso di movimenti di camera fluidi e una fotografia raffinata per creare un linguaggio visivo che è esso stesso poesia. Ogni sequenza è costruita con la precisione di un quadro, dove luce, colore e composizione concorrono a creare significato.
Un successo internazionale
Il successo internazionale de “La grande bellezza” ha dimostrato come il cinema italiano possa ancora raccontare storie universali partendo da radici profondamente locali.
La Roma di Jep Gambardella, come abbiamo visto, diventa metafora di ogni grande città occidentale, in cui l’individuo moderno cerca di costruire un’identità autentica in mezzo al rumore della società dei consumi.
Il film si conclude dunque con una riflessione sulla natura dell’arte e della vita stessa: la bellezza vera, suggerisce Sorrentino, non si trova nelle apparenze o nelle convenzioni sociali, ma in quei momenti di grazia che illuminano l’esistenza umana, spesso quando meno ce lo aspettiamo. Concetti su cui Sorrentino è poi tornato anche con alcune pellicole successive, dimostrando la sua capacità di esplorare e analizzare più approfonditamente questi costanti aspetti dell’animo umano.