Le cover più ardite dei Queen: Sugarpie and the Candymen, Elisapie, Nine Inch Nails... Blitz Quotidiano. Foto ANSA
Oggi vi porto a scoprire le cover più ardite dei Queen, in un viaggio a metà fra il serio e il goliardico. Serio, perché le cover di cui vi parlo qui sono tutte reinterpretazioni coraggiose e lontane dalle versioni originali, ma sono anche tutte di qualità. Goliardico, perché spesso e volentieri la realizzazione di una cover particolarmente ardita coinvolge il gioco musicale, la parodia, l’ironia.
I Queen non hanno certo bisogno di presentazioni: fondati nel 1970, dopo neanche dieci anni erano già una delle band più famose al mondo. Certo, direte, con una voce così! Ma i Queen non erano solo Freddy Mercury. Sia il chitarrista Brian May che la sezione ritmica composta da Roger Taylor alla batteria e John Deacon al basso hanno avuto un ruolo estremamente importante nella creazione di quel fenomeno musicale che chiamiamo Queen. Dopo l’album di esordio, Queen del 1973, pubblicarono altri otto album nel decennio prima degli anni Ottanta: in tutto nove album che li portarono alla fama mondiale, ma soprattutto ad essere stimati e rispettati praticamente in ogni ambito musicale.
Già agli inizi degli anni Ottanta erano diventati un punto di riferimento imprescindibile per artisti pop, metal, progressive e chi più ne ha più ne metta. Anche perché in quei nove album avevano inanellato successi planetari che potevano ben figurare in ciascun ambito, dal metal al funky, dal pop al progressive. Il filo conduttore che teneva insieme il tutto e manteneva una certa coerenza di stile era l’attitudine glam rock, particolarmente evidente nella teatralità della musica dei Queen, che nel loro caso veniva declinata anche con una esplicita propensione verso l’opera.
Non è strano quindi trovare molte cover dei Queen realizzate da cantanti d’opera: lo stesso Freddy Mercury aveva tra l’altro collaborato con alcuni grandi interpreti operistici. Negli anni Ottanta i Queen pubblicano ancora diversi album, sperimentando nella musica per film con Flash Gordon nel 1980 e A Kind of Magic nel 1986, album legato alla colonna sonora di Highlander. L’ultimo album pubblicato con Freddy Mercury ancora in vita è Innuendo del 1991, ma Made in Heaven, uscito nel 1995, contiene registrazioni effettuate da Mercury prima della sua dipartita.
Dopo la morte di Freddy Mercury, lo scioglimento dei Queen sembra inevitabile e il bassista John Deacon si ritira nel 1997. I restanti membri Brian May e Roger Taylor decidono però di continuare, con diverse collaborazioni con cantanti di differenti estrazioni musicali: le più durature sono quelle con Paul Rodgers e con Adam Lambert. Ma ormai la band vive solo delle glorie del passato, senza produrre nuovi album sotto il nome di Queen. D’altra parte, anche con Freddy Mercury in vita, sono numerose le collaborazioni dei Queen con cantanti ed artisti di fama internazionale, provenienti da generi diversissimi. Naturalmente, tutte queste produzioni, insieme alle reinterpretazioni che hanno coinvolto membri originali della band, non verranno prese in considerazione in questo articolo, perché bisognerebbe prima stabilire se si possa in quei casi parlare di cover a tutti gli effetti.
Ma la quantità di artisti, famosi e meno, che hanno dedicato un tributo ai Queen è tale da fornire materiale in abbondanza anche senza ricorrere a sotterfugi. Diversi sono anche gli artisti che hanno dedicato un intero album alle reinterpretazioni delle canzoni dei Queen. Tra quelli più interessanti, dal nostro punto di vista delle cover più ardite, c’è ad esempio The Queen Album di Elaine Paige, pubblicato nel 1998, in cui i brani vengono trasposti in un’atmosfera jazzata, ma con notevole gusto: ascoltate ad esempio la versione di A Kind of Magic. Interessante anche l’album live dei Protomen, Present: A Night of Queen, pubblicato nel 2012, con versioni abbastanza rivisitate di classici da Flash Gordon a One Vision.
Moltissime sono poi le reinterpretazioni dei brani dei Queen realizzate da gruppi interamente vocali, e altrettante quelle pubblicate da virtuosi del canto che hanno voluto utilizzarle per mettere in mostra le proprie capacità vocali. Un caso completamente diverso è quello di Frank Sidebottom, personaggio di fantasia dietro al quale si nasconde il cantante e comico Chris Sivey. Frank Sidebottom è stato un personaggio televisivo particolarmente famoso negli anni Ottanta, soprattutto nell’area di Manchester: un aspirante pop star di provincia, con un completo grigio anni Cinquanta e una vocetta stridula e improbabile. Le sue frequenti cover dei brani dei Queen sono decisamente ardite: ascoltate ad esempio la sua Bohemian Rhapsody pubblicata nell’Ep Frank Sidebottom Sings Frank’s Firm Favorites del 1985, o Radio Ga Ga e We Will Rock You, entrambe dall’Ep Frank Sidebottom Salutes the Magic of Freddy Mercury and Queen and also Kylie Minogue del 1988.
Anche alcune compilation tributo ai Queen ci propongono sorprese interessanti nella nostra ricerca di cover ardite della band. Tra tutte, vi segnalo Horse Feathers & Animal Crackers – A Tribute to Queen del 2009, che contiene versioni al limite dell’assurdo di Fight from the Inside da parte dei Fouryearbeard, di We Will Rock You da parte degli Happiez, di Somebody to Love da parte dei Tuff Darts. Ma anche la compilation Dynamite with a Laserbeam: Queen as Heard Through the Meat Grinder of Three One G, uscita nel 2002, che contiene tra le altre cover ardite Bohemian Rhapsody, nell’interpretazione di Weasel Walter, e soprattutto una notevole versione di Get Down, Make Love realizzata dai Convocation of.
Menzioni speciali
Anche la lunga lista di artisti famosi che si sono cimentati con reinterpretazioni dei brani dei Queen spazia un po’ in tutti i generi musicali: da Pink ai Maroon 5, dai Dream Theater a Steve Lukather, dagli Scorpions ai Melvins, dai Metallica ai Def Leppard, da Lemmy a Ben Harper, da Ellefson a Dolly Parton, dagli In This Moment a Tony Levin, e così via. In genere si tratta di cover piuttosto fedeli.
Più interessante, dal nostro punto di vista delle cover ardite, quella di Bohemian Rhapsody realizzata dai Puscifer nel 2013 e inclusa nell’album Donkey Punch the Night. Dello stesso brano, William Shatner, il capitano Kirk di Star Trek, ha pubblicato una versione visionaria nel 2011 insieme a John Wetton, nell’album Seeking Major Tom. Indubbiamente meglio riuscite sono però le cover ardite di Bohemian Rhapsody pubblicate da Richard Cheese (in Ok Bartender del 2010), da The Cruel Sea (in Rock & Roll Duds del 1995), dai Flaming Lips (in At War with the Mystics del 2006) e dalla violinista Emilie Autumn (nell’Ep Girls Just Wanna Have Fun & Bohemian Rhapsody del 2008).
The Show Must Go On, che chiudeva l’album Innuendo dei Queen del 1991, è un caso tipico di brano che conta molte cover a cappella o in ambito teatrale. Fra le migliori cover ardite di questo pezzo, infatti, troviamo quella pubblicata da Julia Westlin nell’album Acappella 4 del 2018 e quella inserita nel film Moulin Rouge e pubblicata nell’album Moulin Rouge 2 del 2002, cantata da Nicole Kidman, Jim Broadbent e Anthony Weigh. Interessante anche la reinterpretazione pubblicata nel 2012 dai Wave Mechanics Union nel loro Further to Fly.
Delle numerose cover dei Queen in ambito metal, alcune meritano almeno una menzione. Nel 2012 i Testament hanno rivisitato Dragon Attack, traccia dei Queen originariamente inclusa in The Game del 1980, nel loro Dark Roots on Earth. I Queensryche hanno ripreso invece Innuendo nell’album Take Cover del 2007. Gli Heathen hanno registrato una versione thrash metal di Death on Two Legs, brano che nel 1975 apriva A Night at the Opera dei Queen, all’interno del loro Recovered del 2004.
I Queen sono sempre stati grandi nel realizzare veri e propri “inni” rock. Questo, paradossalmente, è forse uno degli aspetti che li ha resi più interessanti per l’universo del post punk dei giorni nostri. I Plow United sono andati a riprendere ’39, un brano poco noto dei Queen, contenuto ancora in A Night at the Opera. La versione dei Plow United, pubblicata come B side di Everything nel 2016, risulta piuttosto interessante. Così come la reinterpretazione di Tie Your Mother Down degli Adrenaline Mob nel loro Dearly Departed del 2015: l’originale era incluso nel successivo A Day at the Races pubblicato dai Queen nel 1976.
A proposito di cover abbastanza ardite, vi segnalo quella realizzata dall’australiano Troye Sivan di Somebody to Love nel 2018 e quella di Play the Game da parte degli shoegaze Beach House nel 2009.
Tra i grandi classici dei Queen, Under Pressure rappresenta sicuramente un pilastro. Pubblicata come singolo nel 1981 e poi inclusa nel 1982 nell’album Hot Space, vede la collaborazione di David Bowie, una sorta di “raduno di famiglia” nell’ambito del glam rock. Tra le cover più ardite del brano troviamo quella dei Blood Brothers inclusa nella compilation Dynamite with a Laserbeam del 2002, quella degli elettronici Xiu Xiu pubblicata nel loro Womens as Lovers del 2008, e quella dei Rhythms del Mundo con i Keane pubblicata nel 2009.
Altro grande classico è senza dubbio Another One Bites the Dust, che nel 1980 fece associare i Queen di The Game al mondo del funk. Angie Doctor e Dan Schumacher ne hanno pubblicato una interessante versione a cappella in He Said, She Said del 2011. Una reinterpretazione reggae la troviamo nell’album Good Vibes del 2018, ad opera dei Jamaican Reggae Cuts. Ma la versione più folle è probabilmente quella registrata dagli Easy Outs nel 2009 per la compilation tributo Horse Feathers and Crackers.
Per concludere, vi segnalo ancora la cover di Too Much Love Will Kill You realizzata dai Feather and Down e inclusa nell’album Revisits del 2012, e quella di We Will Rock You incisa da Manfred Mann per il suo Lone Arranger del 2014.
Sugarpie and the Candymen, Bohemian Rhapsody
Bohemian Rhapsody è un brano del 1975, inserito nell’album dei Queen A Night at the Opera. Si tratta probabilmente di uno dei brani che vanta più rivisitazioni e cover in tutta la discografia dei Queen. Ma è certo difficile pensare a delle cover ardite, considerata la costruzione già ardita dell’originale. Eppure ne esiste una versione bluegrass, registrata dagli Hayseed Dixie nel loro Killer Grass del 2010, che penso si possa già tranquillamente definire ardita. Ma la versione di Bohemian Rhapsody che ho scelto per voi è quella arditissima, folle, geniale registrata dagli italiani Sugarpie and the Candymen per il loro album del 2014 Waiting for the One. La band fonde lo swing al jazz e al blues, e in questa cover dà prova di grandi doti virtuosistiche, oltre che di una fantasia ineguagliabile. Nel video, gli Sugarpie and the Candymen eseguono la loro versione di Bohemian Rhapsody dal vivo.
Scary Pockets, Crazy Little Thing Called Love
Gli Scary Pockets tornano spesso in questa rubrica sulle cover ardite, con la loro missione di reinterpretare canzoni famose in chiave funky. Qui li troviamo alle prese con una versione quasi irriconoscibile di Crazy Little Thing Called Love pubblicata nel loro album Frisky Business del 2021. È interessante anche la loro reinterpretazione di We Are the Champions inclusa in Funk Walker del 2017. Un’altra cover ardita da segnalare di Crazy Little Thing Called Love è quella di Lynda Carter pubblicata nel 2011 nell’album Crazy Little Things. L’originale dei Queen era inclusa in The Game, album del 1980.
Elisapie, Qimatsilunga (I Want to Break Free)
I Want to Break Free è l’ennesimo famosissimo brano dei Queen, incluso nell’album The Works del 1984 e accompagnato da un iconico video che ricorderete tutti. La versione più ardita e allo stesso tempo riuscita di questo brano è, secondo me, quella realizzata nel 2023 dalla cantante e regista canadese Elisapie, che appartiene orgogliosamente alla popolazione inuit. Qui il testo è tradotto in lingua inuit: non saprei giudicare la traduzione, ma la metrica sembra cadere perfettamente sulla musica anche in inuit, quindi mi azzarderei a dire che è un’ottima trasposizione!
Nine Inch Nails, Get Down, Make Love
Tratta da Pretty Hate Machine del 1989, questa versione di Get Down, Make Love registrata dai Nine Inch Nails esalta tutte le caratteristiche della band e il loro sapiente uso dell’elettronica. Questa cover è davvero uno di quei rari casi in cui si può dire che una band abbia fatto suo un brano. E oltretutto si tratta di una scelta non scontata, dal momento che Get Down, Make Love non rientra certo nei moltissimi brani più famosi dei Queen. L’originale era contenuto nell’album News of the Wolrd del 1977.
The Magnets, Dreamer’s Ball
Anche in questo caso, la scelta del brano da reinterpretare non è certo scontata. Dreamer’s Ball era un brano dei Queen inserito nell’album Jazz del 1978, album che tra l’altro conteneva brani come Don’t Stop Me Now, Bicycle Race, Fat Bottomed Girls… Eppure i britannici Magnets scelgono Dreamer’s Ball. E la reinterpretano a cappella, realizzando una versione degna della definizione di cover ardita. Il video è girato in un barbiere di Edinburgo.
Emilie-Claire Barlow, Under Pressure
Under Pressure, originariamente inclusa in Hot Space del 1982 e scritta in collaborazione con David Bowie, vanta, come abbiamo visto, diversi tentativi di riarrangiamento in cover successive. La versione registrata da Emilie-Claire Barlow per il suo album Clear Day batte però tutte le altre per arditezza. La cantante jazz canadese, che è anche doppiatrice, ha pubblicato nel 2015 questo album composto di cover e riarrangiamenti di canzoni folk e rock. E la sua Under Pressure, a mio parere, è davvero sorprendente.
Scott Bradlee’s Postmodern Jukebox, Don’t Stop Me Now
Don’t Stop Me Now è senza dubbio una delle canzoni più energetiche mai incise nella storia del rock. Inclusa nell’album Jazz del 1978, rappresenta per molti un brano intoccabile, per quanto appare difficile riuscire ad eguagliare la versione originale. Gli Scott Bradlee’s Postmodern Jukebox inseriscono la loro cover ardita nell’album 33 Resolutions Per Minute del 2017 e riescono a realizzare una versione stupefacente, con il suo stile alla Tina Turner e il basso in stile motown.
Hayseed Dixie, Fat Bottomed Girls
Ancora un brano tratto da Jazz dei Queen. Fat Bottomed Girls è, nella versione originale, un grande esempio di rock da manuale, per molti aspetti paragonabile a tanti successi degli AC/DC. Gli Hayseed Dixie qui la accelerano, trasportandola sugli strumenti acustici del bluegrass e inserendo armonizzazioni tipiche del genere, e il brano si trasforma in un perfetto classico del bluegrass. Questa versione è inclusa nell’album Let There Be Rockgrass, pubblicato dagli Hayseed Dixie nel 2004.
Lisa Ronstadt, We Will Rock You
Per concludere, un vero e proprio inno del rock: We Will Rock You era originariamente inclusa in News of the World del 1977, ma è decisamente diventata un inno dopo l’esecuzione al famoso live di Wembley del 1985. In ambito punk, gli U.K. Subs l’hanno arrangiata nel 2019 includendola nel loro Subversions II. La loro versione mi pare però molto vicina all’arrangiamento suonato dai Queen stessi nei live del 1984. Altra cover interessante di questo brano è quella di Jack Russell, inclusa nella compilation tributo Covered in Blues del 2014. Ma la cover ardita per eccellenza di We Will Rock You è quella realizzata da Lisa Ronstadt e inclusa nell’album Dedicated to the One I Love del 1996.
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