Usa: Nel 2050 i bianchi saranno minoranza: gli immigrati di colore fanno più figli

Entro 40 anni gli Stati Uniti saranno un Paese dove i bianchi saranno minoranza e gli ‘scuri” maggioranza. Lo dice uno studio, scrive il Daily News, che confronta i dati del censimento del 2000. Un Paese che sarà ”majority-minority country”, in cui la minoranza diventerà maggioranza.

Il fenomeno non riguarda soltanto gli Stati Uniti, ma tutti i Paesi occidentali perchè gli immigrati fanno in media più figli: i bianchi 1.87 a famiglia, gli asiatici 2.04, i neri 2.13, gli ispanici 2.99. E così, media dopo media, siamo arrivati al record di quest’anno, che il Census 2010, la grande conta decennale degli americani, dovrà certificare.

 «Entro il 2050 ci sarà il sorpasso dell’intera popolazione» dice all’Ap Kenneth Johnson, professore di sociologia all’università del New Hampshire, autore di uno studio che elabora i dati del censimento: «Ma per i bambini d’America il futuro è adesso».

Per i bambini è adesso, per gli under 18 si tratta di aspettare qualche anno, ma entro il 2020 la maggioranza sarà loro. Fino a quel 2050 in cui tutti i bianchi diranno addio allo scettro. La nuova faccia dell’America, insomma, è già scura. Un traguardo che neppure i sognatori più accesi dell’uguaglianza si sarebbero aspettati.

Il mito del potere WASP – White, Anglo-Saxon and Protestant – era crollato da tempo. Da John Fitzgerald Kennedy, irlandese e cattolico, a Barack Obama: la rivoluzione era arrivata fin dentro alla Casa Bianca. Ma un conto è la condivisione del potere, l’accettazione delle minoranze. Un altro sapere che, da questo momento in poi, ci si trova dall’altra parte della barricata.

Anche perché la «maggioranza scura» è un magma che la vecchia guardia bianca – difesa oggi dai popcon come Glenn Beck, che arrivano ad accusare Obama di razzismo alla rovescia – non riesce a decifrare. Quaranta milioni di ispanici, 37 milioni di afroamericani, 13 milioni di asiatici. Per non parlare dell’ascesa di quella razza-non-razza, i multiracial, come dal censimento del 2000 possono autodefinirsi tutti quei cittadini «misti», che sono già sei milioni ma sono destinati a crescere.

E’ il trionfo di quegli «americani col trattino» (dagli italo-americani di una volta agli afro-ebrei di oggi) che sono la negazione dell’America dei padri fondatori, dell’America di St. John de Crèvecoeur, quell’emigrante arrivato dalla Francia che nel 1759 scriveva ammirato: «Da questa strana mistura di sangue, da questo ceppo promiscuo, è nata questa nuova razza che si chiama Americana».

Macché. Il ceppo promiscuo è sempre più promiscuo e il Melting Pot è passato così di moda che digitandolo su Google la prima cosa che vi salta fuori è una catena di ristoranti specializzata nella fonduta. Dice Gregory Rodriguez, studioso dell’immigrazione, che questa radicalizzazione – da una parte i bianchi e dall’altra, appunto, gli altri – è un punto di non ritorno: «Siamo di fronte alla «crisi d’ansia» dei bianchi, e il modo in cui l’attuale maggioranza reagirà all’imminente messa in minoranza è il nodo cruciale che l’America dovrà affrontare».

Chissà che non sia per l’ennesimo riflesso del politicamente corretto che Time abbia chiesto proprio a Rodriguez, professore fiero della sua origine messicana, di spiegare all’America la crisi dei bianchi nell’inchiesta di copertina che racconta le «10 idee per i prossimi 10 anni».

Dice Timothy Greenfield-Sanders, il regista – lui bianco – di “Black List”, la serie tv che raccoglie le testimonianze dei neri d’America, da Toni Morrison a Lee Daniels, quello di “Precious”: «Colin Powell ride quando gli rinfacciano che lui è arrivato dove è arrivato solo perché nero. Ma come, dice, proprio perché nero per duecento anni tutto questo ci è stato negato… Quello che conta, mi ha detto, è fare bene il proprio lavoro».

Ottimo. E se quei «lavori» finiscono tutti in mano ai neri? O agli ispanici? «Beh, proprio oggi qui all’Hbo abbiamo deciso che il seguito della Black List si chiamerà Latin List». La fine dell’America bianca è già una serie tv.

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