Calcio, le società complici: possono sbattere fuori i tifosi ma non lo fanno

di Redazione Blitz
Pubblicato il 27 Ottobre 2017 - 10:34 OLTRE 6 MESI FA
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Razzisti o violenti, gli ultras hanno dei complici: i presidenti dei club. Che potrebbero…

ROMA – Calcio, le società complici: possono sbattere fuori i tifosi ma non lo fanno. L’ultrà inglese dell’Everton pizzicato dalle telecamere a sferrare pugni con il figlioletto al braccio alla fine della partita di coppa con il Lione, ha ricevuto dalla società una semplice comunicazione: lei non è più gradito, non si faccia vedere allo stadio, mai più.

Dopo le recenti “imprese” dei tifosi della Lazio con l’oltraggio dei fotomontaggi di Anna Frank in maglietta giallorossa, in molti si domandano perché non si segua l’esempio inglese che concede alle società ampi poteri di interdizione ai famigerati hooligans. Pochi sanno tuttavia che i club italiani questi poteri li hanno, ma non li usano. Mai.

Il protocollo del 4 agosto che impegna i club di seria A. B e C insieme ai responsabili dell’ordine pubblico, protocollo adottato in vista del superamento della tessera del tifoso, dice esplicitamente che le società possono adottare codici di comportamento associati alla sottoscrizione degli abbonamenti o all’acquisto di un biglietto per la partita. Significa che chi sgarra, chi viola le regole, chi mette in pericolo o solo in imbarazzo la società può essere rapidamente messo alla porta. Un Daspo autonomo e a discrezione dei club. Peccato che nessuna società ne abbia mai fatto uso.

Come fatto dall’Everton per il papà con il bimbo in braccio che dà sfogo alla sua follia, il patron della Lazio Claudio Lotito, in attesa della chiusura delle indagini penali, avrebbe potuto annunciare la chiusura a vita dell’Olimpico per i colpevoli perché soggetti sgraditi. E una sospensione a tempo dell’abbonamento per atteggiamenti inopportuni avrebbe potuto mettere in atto l’Ascoli nei confronti di chi è rimasto fuori dalla curva, martedì sera, nel momento del ricordo di Anna Frank. (Guglielmo Buccheri, La Stampa)