ROMA – Alla fine ha deciso “l’uomo che non c’è”, il presidente della Lega Calcio Maurizio Beretta. Ha votato con le piccole e il Consiglio di Lega (con un risultato di 6 a 5) ha dato il via alla delibera dell’assemblea per l’assegnazione a tre agenzie demoscopiche (Doxa, Crespi e Sport+Markt) delle indagini per definire i bacini d’utenza. Detto così suona ostico. In realtà significa che Juventus, Milan, Inter, Napoli e Roma (ma qui la situazione è ingarbugliata e il voto di Beretta non può non far riflettere) incassano una sconfitta durissima. Ora, infatti, le società incaricate dai club studieranno in modo “oggettivo” per quantificare i bacini di calcio della serie A, e se ne vedranno delle belle. Ma non per le grandi, che dallo “scherzetto” rischiano di perdere qualche decina di milioni di euro.
La decisione di Beretta è arrivata nel pomeriggio di mercoledì. Per qualcuno è stato un fulmine a ciel sereno visto che l’ultima volta si era astenuto e che, solo ieri, l’Alta Corte aveva bloccato tutto dando ragione ai grandi club. Oggi il rovescio che il presidente Beretta (uno che da due mesi vorrebbe essere uscente causa impegno in Unicredit ma di cui non si trova un sostituto) giustifica così: “Non ho preso le parti degli uni o degli altri, ho fatto fino all’ultimo ogni tentativo per fare una composizione che vedesse il Consiglio di Lega unito nell’attuazione della delibera. A differenza dell’ultimo Consiglio di Lega dove era pendente il ricorso alla Corte di Giustizia Federale, oggi quel ricorso è stato respinto e di fatto la delibera è nella sua piena operatività. C’è una delibera dell’assemblea votata con una maggioranza di tre quarti contestata da un ricorso alla Corte che lo ha respinto. E quindi la delibera è nella sua esecutività e tenendo conto di questo ho ritenuto che così il Consiglio si dovesse posizionare”.
Il primo a replicare a muso duro a Beretta è stato l’amministratore delegato del Milan Adriano Galliani. Parole che hanno anche una punta di minaccia: “”Beretta – ha detto l’ad rossonero – se ne assumerà le responsabilità anche patrimoniali. Smentendo se stesso, dopo essersi astenuto nell’ultimo consiglio, ora si è schierato con una delle parti. E’ un presidente – ha continuato – che da tempo lavora a Unicredit da mattina a sera e in Lega non c’è mai. Ognuno nella vita fa ciò che vuole ma si assume le responsabilità”. Il “botto” poco dopo è arrivato dal presidente della Juventus Andrea Agnelli, pronto a mostrare la faccia cattiva quando in ballo ci sono i denari dopo un solo anno di apprendistato: “Stando così le cose valutiamo la possibilità di uscire dalla Lega”.
Questione di quattrini. Che grandi e piccoli club siano gli uni contro gli altri armati, insomma, è un fatto. Resta solo da capire bene perché. Una premessa è d’obbligo: non ci sono i buoni e i cattivi. Si tratta di una lite sui soldi, su un mucchio di soldi. Quattrini che arrivano dalle tv e che le grandi vorrebbero accaparrarsi in massima parte sulla base di un principio che fa orrore dal punto di vista della solidarietà ma che ha un senso dal punto di vista della competitività. “Noi siamo quelli che investiamo – è il ragionamento dei vari Galliani, Paolillo, Agnelli eccetere – e noi siamo quelle che dobbiamo avere di più, perché altrimenti il calcio italiano perde colpi all’estero e di successi (e posti) nelle Coppe europee ne vedremo sempre meno”. C’è un però. Le grandi hanno già di più, ma vorrebbero il “molto di più”, il quasi tutto. Che le piccole si arrangino pure con le briciole.
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