NAPOLI – “Che vi siete persi” recitava una scritta apparsa sulle mura del cimitero di Napoli dopo la vittoria del primo scudetto della squadra partenopea. Una delle affermazioni più belle e divertenti, un’espressione dell’aspetto migliore dell’animo napoletano: l’ironia brillante, insieme smisurata, consapevole e razionale. Una certezza dell’animo, una risorsa dell’intelligenza messe in discussione dal cardinale di Napoli Vincenzo Sepe. Cardinale che ha recentemente affermato “con l’aiuto di Dio, ma anche di Cavani, Hamsik e Lavezzi, arriveremo fino alla vittoria dello scudetto”. Affermazione che lascia intendere che il Padreterno segue il campionato, ed evidentemente tifa Napoli. Se questo fosse vero non sarebbe da escludere quindi la possibilità per chi è passato a miglior vita di continuare a tifare per la propria squadra, o almeno per chi è andato in paradiso. Rimane qualche dubbio su quello che potrebbe dire Sant’Ambrogio, perdente nel derby celeste con il collega San Gennaro.
Al di là delle comiche conseguenze che le parole del cardinale Sepe possono generare, rimangono le parole pronunciate dal porporato, e non sono le sole quelle relative alla formazione in cui Dio gioca insieme a Cavani. Sepe ha infatti benedetto un videoclip che proponeva ai tifosi un nuovo inno alla squadra, con immagini tipo spot commerciale e un testo moderatamente idolatrico, ha poi partorito l’idea di celebrare messa nel ritiro prima delle partite degli azzurri e ha infine offerto a Cavani di guidare la processione del giovedì santo.
Se con Cavani in processione vengono in mente “l’amore sacro e l’amor profano” che De Andrè faceva sfilare insieme in Bocca di Rosa, lo scontro Napoli / San Gennaro – Milan / Sant’Ambrogio fa pensare ad un’altra canzone, Incidente in Paradiso di Federico Salvatore. Le parole di Sepe non sono però musica, sono invece la manifestazione, l’espressione verbale di uno degli aspetti peggiori della religiosità cui talvolta la Chiesa indulge. La religione, gli uomini di chiesa, non dovrebbero sminuire a livello di vicende umane la fede. E’ questo un facile escamotage per conquistare le folle, giocando e insistendo sulle facili emozioni che poco o nulla hanno a che vedere con la religione, con la religiosità e la fede. E se un uomo di fede è giusto e sano che abbia a cuore una squadra di calcio è altrettanto comprensibile che speri che la squadra della città di cui è cardinale vinca, ma non è giusto che per questo invochi l’aiuti di Dio. Senza insistere sul fatto che Dio dovrebbe essere il Dio di tutti e che quindi, ovviamente, non è pensabile che schieri a favore di qualcuno perché così facendo finirebbe inevitabilmente per schierarsi contro qualcun altro, non si può fare a meno di notare che mischiare amore sacro e amor profano, calcio e fede, Cavani e la Madonna, assomigli molto all’idolatria. Peccato che nella Bibbia, che per i credenti è un testo dettato da Dio, è considerato tra i peggiori. Ma la tentazione di scrivere, talvolta sui cinturoni, talvolta sugli striscioni “Dio è con noi” non muore mai.
Così facendo Sepe trasforma l’umana passione calcistica per una poco nobile campagna di marketing: il Napoli va bene, la Chiesa è con lui e casomai se ne prende anche un pezzetto di merito salendo sul carro dei vincitori. Ma allora dov’è la Chiesa quando il Napoli va in serie B, è stato Dio a volerlo e quindi la Chiesa è contro il Napoli? E se l’Italia perde contro l’Inghilterra vuol dire che la verità è quella che propongono gli anglicani? E visto che la nazionale di Israele, così come le squadre di club di quel paese, non sono proprio brillanti, vuol dire che il Dio così come lo intendono gli ebrei non esiste? E se Dio invece seguisse il cricket, sport in cui vanno fortissime le nazionali del Pakistan e dell’India, vuol dire che hanno ragione i musulmani o gli indù?
Dio, e molto più prosaicamente la Chiesa e Sepe, non dovrebbero seguire le vicende umane, anzi umanissime come il calcio, e non dovrebbero cercare di salire sul carro dei vincitori solo per conquistare punti in simpatia e potere. Fare questo svilisce la Chiesa stessa. Ma la questione è ormai datata, di circa duemila anni.
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