Un consiglio al prossimo dg della Rai Lorenza Lei: “Non segua le orme di Masi”

di Paolo Gentiloni
Pubblicato il 29 Aprile 2011 - 17:37 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Martedì 2 maggio prossimo il Consiglio di amministrazione della Rai indicherà il nuovo Direttore generale, che mercoledi verrà “confermato” in assemblea dal Tesoro. La Rai volta pagina dopo il biennio di gestione affidata a Mauro Masi. Al nuovo capo azienda, che potrebbe essere una donna cresciuta “in casa”, Lorenza Lei, consiglierei una cosa molto semplice: non seguire le orme del suo predecessore.

Arrivando in Rai, Mauro Masi non era stato accolto da particolari ostilità pregiudiziali. Nei suoi incarichi istituzionali, prima al Dipartimento per l’editoria e poi come Capo di gabinetto del vicepresidente D’Alema, aveva anche stabilito buoni contatti con tutte le parti politiche. Ma il bilancio di questi due anni è stato disastroso. Per una ragione fondamentale: il Direttore Generale ha rinunciato sempre e comunque a puntare sull’autonomia dell’azienda. Le sue decisioni fondamentali sono parse ispirate dall’esterno; o addirittura sono state prese altrove. E il più delle volte, anche per questo, si sono rivelate insostenibili o comunque dannose.

Non mi riferisco tanto all’invadenza dei partiti sulle nomine, consuetudine pessima quanto antica e non attribuibile alla gestione Masi. Parlo di scelte gravi e per nulla obbligate. Innanzitutto la guerra a Sky combattuta per conto di Mediaset. Rai e Mediaset sono in competizione sugli ascolti e la pubblicità, Sky e Mediaset lo sono sulla tv a pagamento. Ma la Rai di Masi è stata schierata in una alleanza delle tv terrestri contro la minaccia del satellite. Da qui la chiusura dei canali Rai sul satellite e i continui criptaggi per rendere difficile vedere i programmi a Rai a chi, pur pagando il canone, è abbonato a Sky. Raiset, come è stata chiamata questa inspiegabile alleanza, ha danneggiato economicamente il servizio pubblico (parte rilevante del deficit deriva dalla rottura del contratto con Sky) e favorito il Biscione nella sua competizione con Sky.

E’ difficile non vedere come un ulteriore risvolto della nascita di Raiset il campo libero lasciato a Publitalia. Per Mediaset sono stati due anni di ascolti in calo e di pubblicità in crescita, per Rai due anni di tenuta degli ascolti e di quota pubblicitaria in calo.

Altri due esempi di scelte gravi e per nulla obbligate: la cacciata di Ruffini e l’avallo alla trasformazione del Tg1 con la direzione Minzolini. In entrambi i casi è facile rintracciare il movente politico, ma è altrettanto evidente la gravità per l’azienda sia del tentativo – poi per fortuna bocciato da un giudice – di decapitare l’esperienza di maggior successo di una Rete Rai; sia dello slittamento del principale telegiornale Rai da testata filogovernativa istituzionale a testata berlusconiana militante.

Per non dire, visto che si tratta di casi arcinoti, dei tentativi di colpire singoli programmi sgraditi al Premier, talmente maldestri da concludersi con un nulla di fatto e con grave pregiudizio all’autorevolezza dell’azienda. Su questo la telefonata in diretta a Santoro resterà insuperabile. Nonostante tutto questo la Rai è ancora in piedi e tiene ancora negli ascolti, grazie a un concorrente interessato soprattutto alla raccolta pubblicitaria e ai connessi dividendi.

Eviterei però di coltivare illusioni: senza una svolta radicale, che recuperi da ogni punto di vista la diversità del servizio pubblico, la Rai non rimanderà a lungo la propria crisi sul piano dei conti e della credibilità. Dal nuovo DG non pretendo una simile svolta, ma almeno mi auguro che si ricominci a ragionare anche nell’interesse dell’azienda e de suoi utenti.