Cofferati e il “malato” Pd: per la cura basta un congresso?

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 24 Aprile 2013 - 08:00| Aggiornato il 12 Febbraio 2023 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Cosa succede nell’ala sinistra del Pd e alla sinistra del Pd? Ce lo raccontano le prese di posizione di Sergio Cofferati (leggi il suo commento su Blitz). L’ex segretario della Cgil, tra i 45 fondatori di un partito con il quale ora è molto critico, ha dichiarato di non “lavorare ad alcuna scissione”: anzi, si è detto pronto alla battaglia dall’interno per un Pd più “di sinistra”, riformista, che faccia una scelta di campo entrando nel Partito Socialista europeo, “la nostra casa naturale”.

Cofferati, nelle interviste concesse negli ultimi giorni al Fatto Quotidiano, al Corriere di Bologna e al sito Globalist, ha però sottolineato: “Condivido poco o nulla delle ultime scelte del partito” e “dire che cosa sia quel che rimane del Pd è impossibile”.

Il “Cinese” ha ribadito l’urgenza di un congresso in cui il Pd ritrovi una guida, indichi una rotta e dica chiaramente che partito è. L’ultimo treno è il congresso, ma la paura dell’ex sindaco di Bologna è che l’accordo per un governo col Pdl, “l’inciucio”, arrivi – come è molto probabile – prima di quel congresso, ammazzando il Pd. Allora “sarebbe già tutto finito: nel momento in cui non saremo più alternativa alla destra il Pd non esisterebbe più”.

A quel punto c’è chi vede nell’asse Barca-Cofferati-Landini sulla candidatura di Rodotà al Quirinale – che si è creata in pochi minuti di tweet e post su facebook prima della votazione che ha rieletto Napolitano – l’embrione di una nuova formazione politica a sinistra del Pd, che includa anche Sel di Nichi Vendola.

Se il Pd non sta tanto bene, lo deve alla sua natura “autolesionista” che, come scrive Cofferati su Blitz, lo ha portato ad una lunga sequenza di errori, inaugurata con l’appoggio al governo Monti:

“La propensione autolesionista del Pd è sempre stata forte, fin dalla sua nascita, ma si è riproposta con virulenza nelle ultime settimane. Gli annunci erano stati netti e forti, la decisione di sostenere il Governo dei tecnici ne era la riprova più recente. Invece di adoperarsi per andare a votare in una situazione drammatica sul piano finanziario ma molto positiva, per l’opposizione di allora, sul piano politico, si è accettata e sostenuta la nascita del governo dei tecnici in nome dell’emergenza. Berlusconi era al suo minimo storico nel giudizio dei cittadini, Grillo era un fenomeno contenuto e Monti non esisteva come riunificatore del Centro.

Il Pd avrebbe con ogni probabilità vinto le elezioni e affrontato con un governo forte in un quadro politico finalmente stabile il “mostro spread”. Invece il compito è stato affidato al secondo professore (Mario Monti) che ha varato, anche con il consenso del Pd, provvedimenti che hanno aumentato la pressione fiscale, cancellato diritti nel lavoro, mantenuto il precariato e colpito i pensionati accentuando la recessione avviata. Il “mostro spread” ha guardato indifferente l’azione del secondo professore e ha invece mostrato grande interesse per la decisione della Bce di aiutare le banche europee in difficoltà e, analogamente, ha apprezzato le decisioni fiscali degli Stati Uniti. Solo in quelle due occasioni si è vistosamente ridimensionato”.

Finita l’esperienza del governo Monti, il Pd ha perseverato nei suoi errori, chiudendo la campagna elettorale il giorno in cui Pier Luigi Bersani ha vinto le primarie battendo Matteo Renzi:

“Appare evidente che se il Pd avesse governato avrebbe dovuto fare lui robuste azioni di contenimento della spesa ma lo avrebbe fatto con una forte idea di solidarietà e giustizia sociale, dunque senza incrementare – per effetto delle scelte – le file grilline. Si pensava in molti che la lezione sarebbe stata messa a profitto. Errore clamoroso. Infatti cosi non è stato. La campagna elettorale è finita con le primarie e i risultati si sono visti al momento del voto”.

Il dopo elezioni è stato gestito anche peggio dai vertici del Pd. Cofferati nella sua analisi si concentra sulle fasi che hanno portato alla rielezione di Napolitano, un crescendo di frettolosi cambi di rotta costellato da figuracce ed insuccessi:

“Ma la parte peggiore doveva ancora venire! Dopo lunghi tentennamenti su cosa fare con Grillo (alla fine nulla) la direzione all’unanimità dà mandato al segretario di individuare con il centro-destra un nome da proporre a candidato per la presidenza della Repubblica. Il povero segretario svolge il compito assegnatogli e la conclusione alla quale arriva (Franco Marini) viene sonoramente bocciata da gran parte di quelli che gliela avevano richiesta.

Allora in gran fretta si propone, come salvifico, il padre dell’Ulivo e del Pd, Romano Prodi. Proposta approvata per acclamazione e subito pugnalata nell’urna. A quel punto si torna mestamente ad implorare il Presidente uscente, Giorgio Napolitano, perché accetti la riconferma. Come poi avviene con relativa e scontata reprimenda del presidente rieletto ai partiti ed in particolare al Pd”.

La conclusione è un accordo per un governo con Berlusconi e Monti che per Cofferati è impossibile da spiegare agli elettori:

“Si poteva fare peggio? No. L’elezione avviene con l’accompagnamento del coro “Napolitano si, Governo con Berlusconi no”. Passano solo poche ore e nasce il Governo Pd – Pdl – Scelta Civica. Ora per quale motivo gli elettori dovrebbero darci fiducia? La “posizione” (come si diceva un tempo) non è mai stata tenuta più di qualche ora. Opportunismi, tatticismi, demagogia e minimalismo. Valori niente, identità nessuna. È questa la sinistra riformista? In fondo al cuore spero di no. E in ogni caso non mi rassegno a che lo sia”.

Cofferati intende non rassegnarsi combattendo solo dentro al Pd o eventualmente anche fuori dal Pd? La cura per il grande partito malato è il congresso o la scissione? Ricucire o amputare? Qualcosa in più lo si capirà il 30 aprile, quando a Bologna, per un convegno sul reddito minimo garantito organizzato dalla Fiom, si ritroveranno il ministro Fabrizio Barca, il leader della Fiom Maurizio Landini e Stefano Rodotà.