La nuova legge sul lavoro aumenterà i disoccupati. Vittorio Feltri sul Giornale

di Redazione Blitz
Pubblicato il 22 Aprile 2014 - 12:15 OLTRE 6 MESI FA
La nuova legge sul lavoro aumenterà i disoccupati. Vittorio Feltri sul Giornale

La nuova legge sul lavoro aumenterà i disoccupati. Vittorio Feltri sul Giornale

ROMA – “Pasqua è alle nostre spalle – scrive Vittorio Feltri sul Giornale – davanti ab­biamo subito – oggi stesso – il decreto sul lavoro, che è al centro di polemiche destinate ancora una volta a creare di­sagi nella maggioranza renziana”.

L’articolo completo di Vittorio Feltri:

 Il provvedi­mento probabilmente passerà, ma chissà con quanta fatica e, forse, con troppi cambiamenti ri­spetto al testo originario. Bisogna sapere che su questa delicata materia i pareri sono contrappo­sti anche nell’ambito dei singoli partiti. Il commento scatologico più calzante sarebbe il seguente: siamo nel casino più totale. Poiché, tuttavia, il premier vanta virtù taumaturgiche, non ce la sentiamo di escludere a priori che acca­da un miracolo, magari col ricorso alla solita fidu­cia da tutte le forze politiche detestata e da tutte praticata,e cioè che all’ultimo si trovi un accordo in grado di appianare ogni ostacolo. Ci rendia­mo conto: prevale in noi un vago ottimismo.

Se dovessimo però attenerci alla realtà che abbia­mo sotto gli occhi, diremmo che quella di cui trat­tiamo sia una legge destinata a complicare ulte­riormente la soluzione del problema principale del nostro Paese: la disoccupazione. Infatti, pur riconoscendo la necessità di regola­mentare le assunzioni a termine, nonché quelle a tempo indeterminato, per non trascurare quel­le degli apprendisti, che oggi avvengono in mo­do caotico e tale da complicare i rapporti tra aziende e dipendenti, occorre aggiungere che il nodo è un altro: per creare posti di lavoro non è sufficiente modificare le norme da imporre agli imprenditori, ma serve incentivare la produzio­ne, quindi i consumi e le esportazioni. E per fare ciò è indispensabile trasformare l’Italia da Paese inospitale a Paese ospitale per l’industria, l’arti­gianato e il commercio. Come? Anzitutto consentendo alle ditte, gran­di o piccole che siano, di essere concorrenziali, non soffocate da un fisco predatorio, e di riguada­gnare la stima ( perduta) dello Stato e della socie­tà: è assurdo considerare, per esem­pio, le cosiddette «partite Iva» fonti potenziali o, peg­gio, attive di evasione. Inol­tre le aziende hanno biso­gno non solo di pagare l’energia come e non più che in altre nazioni euro­pee, ma anche di non dover sopportare un costo ecces­sivo del denaro e della ma­nodopera.

Sembrano, i nostri, di­scorsi semplici o addirittu­ra semplicistici; in realtà o se ne accoglie la sostanza oppure fra un anno, due o dieci saremo ancora qui a discutere sui metodi più adatti per il rilancio del­l’economia, ignorando che essa si basa sulla contabili­tà della serva. Per vendere un prodotto sul mercato è obbligatorio che il suo prez­zo sia alla portata di chi lo acquista, altrimenti il con­sumatore si rivolge ai cine­si, agli indiani o ai vietnami­ti che­praticano tariffe noto­riamente più basse, e non importa se la qualità delle loro merci è più scadente. Chi ha pochi soldi in tasca, chi è disoccupato, chi ha un reddito basso non può con­ce­dersi il lusso di sottilizza­re.
La piena occupazione non è una chimera. Per rag­giung­erla però sarebbe op­portuno un cambio radica­le di mentalità: meno spe­se, lavorare di più, sgobba­re tutti, uniformarsi ai para­metri della crisi per riparti­re. Le liti nell’ambito del Pd e quelle fra il Pd, Scelta Civi­ca e Ncd sulla riforma del la­voro sono utili esclusiva­me­nte a incrementare la di­soccupazione. Che in effet­ti è in aumento.