Iran: il mondo arabo alleato degli Usa guarda con soddisfazione e speranza la crisi del regime a Teheran

Quando è stato annunciato che il vincitore delle elezioni presidenziali iraniane era Mahmoud Admadinejad con una grande maggioranza di voti, in un primo momento i leader arabi alleati degli Stati Uniti sono piombati in uno stato di desolazione. Avevano sperato nella vittoria del candidato riformista Mir Hossein Mousavi e si sono invece ritrovati con un Ahmadinejad imbaldanzito che avrebbe continuato, più che mai, ad ingerire nei loro affari interni ed a destabilizzare la regione.

È  quindi con una certa sorpresa che gli analisti osservano ora come i leader arabi siano passati dalla desolazione all’euforia e che, fatti i loro calcoli, pensino che le cose andranno molto meglio di quanto sarebbero andate se a vincere le elezioni fosse stato Mousavi. ”I leader arabi stanno osservando quanto accade in Iran e sono soddisfatti di quello che vedono”, rileva Ema Gad, un esperto egiziano di affari internazionali. ”L’Ahmadinejad del dopo elezioni sarà molto diverso da quello che era prima perchè sarà più debole”.

Certi analisti avvertono che l’indebolimento di Ahmadinejad potrebbe restare solo allo stato di desiderio inappagato, perchè altri centri di potere in Iran, come il Leader Supremo Ayatollah Ali Khamenei e i militari, possono esercitare nella regione ancor più influenza di Admadinejad. E’ anche possibile che una leadership divisa, come si sta verificando, possa decidere di esacerbare le tensioni regionali per distrarre l’attenzione dai suoi problemi interni.

Il caos iraniano potrebbe anche costituire un avvertimento per i leader arabi che hanno visto come le moderne tecnologie, internet, i siti di social networking e l’ultima generazione di telefoni cellulari, hanno ridotto la capacità degli stati autoritari di controllare l’accesso all’informazione e la sua diffusione nel mondo esterno. Ma, detto questo, gli analisti rilevano che le differenze sociali e culturali tra i Paesi arabi e l’Iran sono tali e tante da indurre i leader arabi a ritenere che quanto successo nel Paese degli Ayatollah non può accadere tra le loro popolazioni.

”Molti giovani nel mondo arabo vorrebbero sollevazioni popolari di tipo iraniano”, dice Ahmed al Omran, uno studente universiario saudita autore del popolare blog saudijeans.or, ”ma il tipo di società civile che vi esiste rende molto più naturale disordini e ribellioni in Iran piuttosto che in Egitto o in Arabia Saudita”.

L’affermazione di Gad secondo cui Ahmadinejad è ora più debole, e quindi meno pericoloso, trova sostegno nell’incalcolabile danno che le scene delle sanguinose repressioni avvenute a Teheran negli ultimi giorni e diffuse quasi in tempo reale da internet hanno causato nei Paesi arabi più religiosi e populisti. Il danno ha colpito anche gli alleati dell’Iran, tra cui la Siria, ed anche Hezbollah in Libano e Hamas in Palestina.

Una indicazione di come i leader arabi stanno reagendo alla crisi iraniana è il loro silenzio. Essi stanno facendo di tutto per evitare finanche la sensazione che stanno cercando di influenzarne la conclusione. E i media arabi hanno riferito sui disordini in Iran in maniera molto contenuta. ”Quando attendi con tanta intensità che accada qualcosa che ti renderebbe felice”, osserva Randa Habib, analista politico e giornalista giordano ad Amman, ”trattieni il fiato e fai quanto meno rumore possibile in maniera da non influenzare l’esito”.

Gli alleati dell’Iran, dal canto loro, sono irrequieti. Gad afferma di scorgere, specialmente in Siria, un guardingo ripensamento del loro sostegno all’Iran. ”Credo che Ahmadinejad si concentrerà nel risollevare le sorti dell’economia nazionale per migliorare le condizioni di vita della popolazione”, dice Gad, ”il che significherà meno finanziamenti all’estero, meno intrusioni, meno penetrazione e meno coinvolgimento nel mondo arabo”.

Svariati osservatori ritengono inoltre che il mondo arabo approfitterà della crisi iraniana per indebolire in generale l’Islam politicizzato. ”Il mondo arabo”, dice Randa Habib, ”è governato da regimi autoritari, e per la loro sopravvivenza e legittimità il piu’ grande pericolo è costituito da movimenti come la Fratellanza Musulmana in Egitto e in Giordania”.

Commenta sulla stessa linea  Mohammad Abu Rumman, ricercatore al quotidiano di Amman Al Ghad: ”Sperare nel fallimento della rivioluzione iraniana equivale a sperare nel fallimento dell’ islamismo politico”.

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