Marea nera. E se capitasse in Italia? Il presidente del Veneto Luca Zaia lancia l’allarme

Pubblicato il 9 Maggio 2010 - 09:40 OLTRE 6 MESI FA

Luca Zaia, presidente del Veneto

Il disastro ambientale provocato in America dal petrolio della ex torre di estrazione ad alta profondità Deepwater Horizon, nel Golfo del Messico, ha cominciato a preoccupare qulcuno anche in Italia. Anche da noi ci sono piattaforme di profondità in alto mare, in tutto 115, e si continuano a fare esplorazioni, specie nell’Adriatico. Il tutto, naturalmente, è in mano all’Eni e un po’ alla Edison. che sono società quotate in Borsa, anche se l’Eni non è una società qualunque. Solidamente controllata dal Governo, ha uno strano rapporto con gli italiani in genere e in particolare con il mondo della politica e quello dell’informazione. metà mito nazionale, metà Moloch. Non siamo più ai tempi di Enrico Mattei, che combatteva la lotta di un piccolo paese disastrato dalla guerra contro lo strapotere mondiale delle “sette sorelle” (le grandi società petrolifere americane, inglesi e olandesi) e che a quel fine comprava tutti, dai politici ai giornali (anzi ne lanciava uno, il più bello e innovativo del tempo, il Giorno). Ma tant’è l’Eni è sempre l’Eni e fa un po’ paura a tutti.

Però qualcuno ha capito che gli italiani che vivono sulle coste dell’Adriatico sono preoccupati e così si sono cominciate a sentire le prime voci.

Ha cominciato il neo presidente della Regione Veneto, il leghista (sarà un caso?) Luca Zaia, che ha detto: “Abbiamo il dovere di garantire ai cittadini la massima sicurezza degli impianti estrattivi di gas e petrolio e il dovere di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico perché non si sia mai schiavi di nulla se non di quello sviluppo necessario, culturale ed economico, che noi veneti siamo capaci di creare”.

Un po’ ducescamente ha aggiunto: “Ho dato mandato agli assessori Maurizio Conte e Daniele Stival di verificare prontezza ed efficacia della nostra rete di intervento in caso di emergenza ambientale. Non voglio creare allarmismo, ma guardando a quanto sta accadendo in Lousiana, non possiamo dimenticare che le piattaforme di estrazione gasiera [ma dove ha imparato l’italiano?] e petrolifera insistono anche al largo delle nostre coste, adriatiche e tirreniche”.

Per Zaia, “dobbiamo dimostrare di aver imparato la lezione di Seveso o del Prince William Sound’s Bligh Reef, dove nell’89 si arenò la petroliera Exxon Valdez riversando in mare 40 milioni di litri di greggio: se accadesse qualcosa di simile nel Mediterraneo sarebbe il disastro. Per tutti e per il Veneto in particolare, prima regione italiana per turismo”. Per questo, ha detto ancora, ha chiesto quindi “che si verifichi quanto prima di quali risorse, umane e tecniche, disponiamo per far fronte ad un eventuale incidente nell’Adriatico, ottimizzando poi la piattaforma tecnologica a nostra disposizione e la collaborazione fra le diverse forze di controllo, polizia e pronto intervento”.

Rincarando la dose, qualche ora dopo queste parole Zaia ha detto di avere chiesto rassicurazioni ad Eni ed Edison, le società che gestiscono le 115 piattaforme estrattive, molte nell’Adriatico centro-settentrionale: “E’ imperativo avere un piano di intervento immediato che coinvolga le Regioni, nel caso di un’emergenza ambientale come quella che sta attanagliando le coste della Louisiana non possiamo dimenticare che le piattaforme di estrazione gasiera e petrolifera insistono anche al largo delle nostre coste, adriatiche e tirreniche”.

Per questo, “Chiedo ad Eni ed Edison di fornirci un dossier sullo stato di sicurezza degli impianti offshore e delle procedure di intervento immediato in caso d’emergenza. Abbiamo il dovere di fornire ai cittadini, per i quali gas e petrolio sono necessari, un servizi efficienti, massima sicurezza degli impianti estrattivi, ambiente pulito, che è anche una delle maggiori attrattive del Veneto, prima regione  italiana per turismo”.

Si è fatto sentire anche il senatore pugliese Giuseppe Astore, che, in un’interpellanza ai ministri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, chiede di sapere “se le previste procedure di valutazione dei rischi legati all’attività estrattiva in Adriatico sono state condotte con il massimo rigore scientifico e fondate sul principio di precauzione ambientale e, in secondo luogo, se sono stati attentamente analizzati e verificati i sistemi di sicurezza degli impianti estrattivi offshore ed approntati adeguati piani di emergenza”.

Il senatore Astore chiede inoltre al governo se sia stato attentamente valutato il rischio “di una catastrofe i cui costi si rivelerebbero difficilmente sostenibili dal punto di vista ambientale ed economico”. L’interpellanza è stata firmata anche dai senatori del Pd Ferrante e Della Seta e Burgaretta Aparo.

Ha parlato anche Legambiente Puglia, che, in materia di giacimenti petroliferi chiede “il blocco di tutte le autorizzazioni e concessioni e soprattutto controlli più rigorosi sulle piattaforme esistenti. Occorre uno stop definitivo agli investimenti nel petrolio che è una fonte in via di esaurimento”.

Questa è la posizione di Legambiente, almeno fino a quando Guido Bertolaso, che in passato ha saputo valorizzare bene Legambiente, ottenendone anche il plauso, non venga nomninato commissario straordinario alle ricerche e all’estrazione del petrolio. Almeno per ora, tuttavia, Legambiente è decisa. In una nota,  il presidente della sezione pugliese dell’associazione ambientalista, Francesco Tarantini, spiega:  “In Puglia abbiamo un giacimento petrolifero nel Canale di Otranto dell’Agip Firenze e una delle 17 grandi raffinerie italiane a Taranto, di proprietà dell’Eni. Ogni giorno corriamo il rischio di incidente, soprattutto considerando il trasporto in oleodotti degli idrocarburi”.

Secondo Lunetta Franco, presidente del circolo di Taranto di Legambiente ,”dopo Monopoli e le Tremiti ora è il turno di Taranto. L’attività di prospezione e ricerca off-shore degli idrocarburi e l’eventuale realizzazione di una piattaforma nel Mar Grande rappresenterebbero un ulteriore carico che graverebbe su una città già ad elevato rischio ambientale. Con il progetto della Shell  si rischia di arrecare danni alla prateria di posidonie dell’isola di San Pietro peraltro inserito tra i siti di interesse comunitario (Sic), ai banchi corallini disposti lungo il tratto di litorale tra San Vito e Torre Saturo ed in località Chiatona che rivestono un alto valore naturalistico per la loro elevata biodiversità”.