Fazio: Volemose bene. Ovvero il paradosso del giornalista che non faceva domande, nemmeno a Marchionne. La provocazione di Cremaschi e Micromega

Pubblicato il 30 Ottobre 2010 - 09:44 OLTRE 6 MESI FA

Micro Mega, il mensile della “sinistra eretica” (loro il copyright della definizione), non ha mai lesinato quello che in gergo militare si chiama il “fuoco amico”. Solo qualche mese fa era stato l’ultima fatica letteraria di Veltroni a cadere sotto le sciabolate impietose (ed esilaranti) dalla penna di Mauro Romanelli.

Ora, facendosi portavoce di un comunicato di Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato Centrale della Fiom-Cgil, il giornale rivendica il diritto al contraddittorio da parte degli operai: nel mirino di Micro Mega si trova un altro beniamino del pubblico pagante di sinistra: Fabio Fazio. Al’origine c’è l’intervista già celebre durante Che tempo che fa a l’ad della Fiat Fabio Marchionne a scatenare le polemiche. Solo poche ore dopo l’incontro, le reazione si propagavano tra i giornali e perfino tra i sindacati (la Fiom ha chiesto che Fazio inviti i tre operai di Melfi licenziati).

Al di là delle considerazioni giornalistiche, l’episodio è diventato lo spunto per un grave dilemma filosofico, il cosiddetto rompicapo dell’“intervistatore che non intervista”. Di tutti le proprietà essenziali (in senso aristotelico) proprie ai giornalisti, quella di fare domande è a detta di molti la più essenziale di tutte. Ma se così è come considerare Fazio? Se un calzolaio smette di fare scarpe, smette anche di essere calzolaio. Idem, se uno studente smette di studiare, smette di essere studente. Allora, Fazio, pur avendo smesso anni fa di fare domande, può essere considerato ancora un giornalista?

Emblematica a questo proposito la verve polemica con cui ospitò il calciatore Gianluigi Vialli negli studi di Che tempo che fa. Molti si aspettavano un atto di giornalismo sferzante, all’indomani delle rivelazioni sul doping e del processo alla Juventus. Ma Fazio superò tutte le previsioni con una domanda bruciante, che avrebbe lasciato il segno: «È vero che in Inghilterra non c’è il bidet?». Momenti di puro giornalismo d’inchiesta.

Il fatto è che Fazio non dice male di nessuno, non pensa male di nessuno. Anche volendo, d’altronde, non potrebbe, non è nella sua natura, è troppo bene educato. Fabio Fazio assomiglia così a un ragazzone di parrocchia, è buono e di sinistra, ed è per questo che rassicura le nostre coscienze. E’ il nipote che tutte le nonne vorrebbero avere, quello che ha la faccia pulita e non dice la parolacce.

Per questa sua intransigente filosofia Why can’t we be friends, Fazio, secondo diversi pensatori, non è un giornalista, ma dovrebbe essere chiamato piuttosto l’“assenziente”. Sì, perché quando l’altro parla, Fazio non riflette alle contraddizione o alle osservazioni da muovere al suo interlocutore. Preferisce invece muovere la testa, annuire, guardare estasiato, ripetere a volte le parole più pregnanti. In questo conformismo dilagante, sono tutti belli, bravi, tutti buoni, di sinistra, o di destra, artisti e mestieranti. Perfino l’autobiografia di Antonello Venditti, perfino il film di Massimo Bondi.

E’ per questo che Micro Mega sostiene, con una punta di malizia, che Fazio assomiglia “Carlo Pellegatti a Milan Channel, ma aggiungendoci un vago surplus di seriosità, affinché il pubblico abbia la sensazione che Fabiofazio non stia soltanto ascoltando, ma pure elucubrando, ponderando, elaborando”.