Carlo Casalegno, qualcuno avvertì il commando Br che lo uccise? Un mistero di 40 anni fa

di Marco Benedetto
Pubblicato il 16 Novembre 2017 - 08:30 OLTRE 6 MESI FA
omicidio-casalegno

La prima pagina de La Stampa il giorno dopo l’attentato a Casalegno

ROMA – Da Cronaca Oggi, notizie da Italia e mondo scelte da Marco Benedetto

Carlo Casalegno, vice direttore della Stampavenne assassinato da un commando di Br il 16 novembre 1977 a Torino. Fu il primo giornalista ucciso o gambizzato da terroristi durante gli anni di piombo. Lo aspettavano i killer col silenziatore, nell’androne di casa, in corso Re Umberto 54. Quattro colpi di pistola sparati in pieno volto. Morì il 29 novembre.

Ricordo prefettamente quelle ore, ricordo la corsa all’obitorio. C’erano Romiti e Montezemolo, c’ero io che lavoravo all’Ufficio stampa della Fiat. Era sera, faceva freddo, tutto era grigio, tetro. Ammazzare uno per quello che scrive…scriveva che l’Italia era lacerata dagli “opposti estremismi”. Il dogma era che di estremismo ce ne era uno solo, quello fascista, quello nero. I terroristi erano “compagni che sbagliavano”.

Fu un omicidio chiaro nella motivazione, non molto chiaro nel contorno della esecuzione.

Patrizio Peci, il primo pentito della storia d’Italia, dà una sua versione, che però almeno in parte è sbagliata. Peci sostiene che nei loro pedinamenti i terroristi avevano rilevato che Casalegno arrivasse a casa per pranzo guidando la sua macchina, che parcheggiava prima di entrare nel portone. Così il commando se ne stava appostato in modo di arrivare al portone appena Casalegno vi era entrato. Ma non è vero. Casalegno arrivò a casa a bordo della macchina blindata che portava alla propria abitazione il direttore Arrigo Levi. Levi era consapevole che Casalegno, bersaglio di un ampio schieramento di cui le Br, e Prima Linea,, e Lotta Continua, erano la punta, lo accompagnava lui stesso, con la macchina e la scorta.

Il mistero è: ci fu una telefonata dal giornale che avvisò in qualche modo il commando? Non c’erano i portatili, allora, se non alcuni montati su poche auto di privilegiati ed è verosimile che le Br non ne avessero disponibilità. Bastava tuttavia telefonare a un bar per dare il segnale. Il generale Dalla Chiesa ne era convinto ma non sono mai emersi elementi.

Certo fa strano il sincronismo. Torino è  una città che non ha mai molto traffico se non quando la Juventus vince lo scudetto. Il tempo di scendere dalla macchina, entrare nel portone, avviarsi all’ascensore, ed era morto. Levi non era nemmeno ancora arrivato a casa sua. Perché Peci dice una cosa diversa? Non sapeva, cosa di cui c’è da dubitare viste le informazioni da lui fornite ai carabinieri, o non vuole ricordare?

Quelli erano anni di piombo, non solo per i proiettili che potevano aspettarti fuori del portone. Anche per l’aria molto più inquinata di oggi, quell’odore di piombo che impregnava lo smog. E sopra tutto, percepibile quasi più che a Milano, quell’odio pervasivo e onnipresente.

Qualche giorno dopo l’assassinio di Casalegno, il giornale di Lotta Continua lo giustificò. Vi collaboravano futuri nomi illustri del giornalismo e anche giornalisti della stessa Stampa.

Hanno voglia oggi a parlare di odio sui social network: o sono gente senza memoria o sono giovani.

La Stampa ricorda Casalegno con un articolo del direttore Maurizio Molinari. Molto alto, tanto, forse troppo perché si possano capure quei giorni. Ci sono  2 settimane fra la ricorrenza dell’attentato e quella della morte, probabilmente altro seguirà.