Lilli Gruber direttore Tg Rai? Unica luce in un piano che…

Pubblicato il 28 Febbraio 2016 - 06:50| Aggiornato il 29 Febbraio 2016 OLTRE 6 MESI FA
 Lilli Gruber direttore di un Tg Rai?

Lilli Gruber intervista Matteo Renzi nello studio di Otto e mezzo, la trasmissione che conduce su La7

ROMA – Lilli Gruber direttore di un Tg Rai? Sarebbe una delle novità dei prossimi mesi, una delle poche idee buone attribuibili, se sono attribuibili a lui, al nuovo direttore generale o amministratore delegato della Rai Antonio Campo Dall’Orto.

Campo Dall’Orto ha elaborato un piano i cui contorni sono ancora fumosi ma già preoccupanti, che presenta al momento due risultati, un regolamento di conti con la sinistra del Pd e con un giornalista bravo, coerente, con le palle e la schiena dritta che è Massimo Giannini; un grande regalo a Berlusconi che di una Rai trasformata in un ritrovo per intellettuali (siano di destra o di sinistra gli intellettuali in Italia hanno una lunga tradizione di inutilità e prossenetismo).

Se davvero in quel piano di normalizzazione comparirà il nome di Lilli Gruber sarà quanto meno un piccolo pedaggio pagato alla competenza e al professionismo. Il nome di Lilli Gruber lo fa Marco Castoro sul Messaggero di Roma, insieme con quelli di Sarah Varetto e Maria Teresa Meli. Sono tre nomi pesanti che vengono allineati come probabili direttori dei Tg della Rai, in pieno tormento da apparente riforma, in ossequio al mito delle quote rosa, perché qualcosa cambi ma non troppo, giusto quello che serve. Avverte Marco Castoro che

“i tempi non sono imminenti. Certo non sarà facile scalzare Mario Orfeo dal Tg1. Comunque, chi ha recentemente parlato con l’ad Antonio Campo Dall’Orto, assicura che il suo desiderio è proprio questo”.

Quello di Lilli Gruber, per l’anagrafe Dietlinde,  è un nome che non ha bisogno di spiegazioni, milioni di italiani la vedono ogni sera dagli studi di LA7. Porta una certa aria fresca del Nord col suo accento quasi perfetto senza inflessioni bolzanine (le sue origini) e nemmeno tedesche (la sua lingua madre). Non sono da meno i nomi di Sara Varetto, direttrice di Sky Tg24, da Torino e di Maria Teresa Meli, unica meridionale (è nata a Roma) della terna, corrispondente da Roma del Corriere della Sera, donna di carta stampata a differenza delle altre due se si fa eccezione per le frequenti apparizioni come ospite.

Trattandosi di personaggi di quel calibro, accortamente Marco Castoro non azzarda assegnazioni.

Chi conoscesse meglio le inclinazioni politiche delle tre giornaliste potrebbe cercare di sovrapporne il profilo partitico con quello dei tre Tg della Rai, come è stato fatto con la successione a Monica Maggioni, il cui posto di direttore di Rai News, lasciato libero quando è stata nominata presidente della Rai, è stato assegnato a Antonio Di Bella, della scuderia ex Pci.

Una corrispondenza fra lealtà politiche del direttore e Tg di assegnazione dovrebbe permanere anche dopo la finta riforma della Rai. Appare difficile che Matteo Renzi voglia aprire una guerra guerreggiata con alleati e opposizione, scardinando lo schema che anche il più protervo Berlusconi ha rispettato: Rai e Tg 2 alla destra, Rai e Tg 3 alla sinistra, Rai e Tg 1 al Governo. Al di là delle apparenze e delle chiacchiere, è da anni che va avanti così.

La fotografia è stata fatta nel 2009 da Beppe Giulietti. A Berlusconi allora, a Renzi oggi,

“interessano le reti quanto se non più dei Tg, non solo perché il partito lo reclama per ragioni economiche , ma soprattutto perché le reti producono il vero giornalismo spettacolo , il vero giornalismo popolare. Striscia la notizia (di Berlusconi) ha fatto scuola nel mondo e per molti italiani rappresenta, se non l’unica, la principale e più creduta fonte di informazione. Striscia non nasce in Rai, nasce a Canale 5”.

Per la Rai, non passa solo la politica ma

“passano posti di lavoro. Le assunzioni, a tempo indeterminato o semplici consulenze, sono uno dei principali ingredienti della cucina di un politico; per la Rai passano tanti soldi di appalti e favorire l’assegnazione di un appalto a un fornitore può fare la fortuna di un amico o di un parente, costituisce un altro importante strumento della politica. Non c’è nulla di sconvolgente in questo, accade così in tutto il mondo, in ciascun paese secondo regole proprie. Non c’è da scandalizzarsi, ma questo aggiunge una ragione della passione dei partiti per la Rai, al di là del fatto che una Rai pubblica serve la democrazia meglio di qualsiasi Rai privata, perché garantisce ai cittadini – elettori il diritto di vedere rappresentate le proprie idee in un coro che una volta si chiamava pluralismo”.

Alla fine, di tutto il polverone attorno alla Rai, si vedrà che la pseudo riforma di Renzi aveva come obiettivo primario la resa dei conti con Rai 3 (Andrea Vianello, Massimo Giannini) e la ridefinizione del potere nel telegiornale da sempre appaltato al Pci, il Tg3, dove la conquista della segreteria del Pd da parte di Pierluigi Bersani aveva installato la figlia di Berlinguer e dove è naturale che ora Renzi voglia piazzare qualcuno dal Dna un po’ diverso.

Per la destituzione di Giannini, Marco Castoro vede “tanti indizi”. Nel dettaglio:

“Risultati al di sotto delle attese. Giannini spesso nel mirino per la sua conduzione e per la ormai lunga polemica con Renzi. Un format un po’ logoro. Tutte componenti che non depongono certo a favore di una conferma del programma. Non è da escludere una fermata ai box per poi rispolverarlo dopo il restyling. Chi invece è destinato a congedarsi da Viale Mazzini è Giannini, voluto dall’ex direttore Vianello, che potrebbe tornare alla carta stampata.

“Poi c’è il sogno che Campo Dall’Orto e Verdelli coltivano per le prossime nomine a capo dei tg, subito dopo le elezioni di giugno. Ovvero quello di avere tre direttori donne nelle testate principali.  di donne pronte alla scalata ce ne sono. I nomi che circolano a Saxa Rubra? Sarah Varetto, Lilli Gruber, Maria Teresa Meli.

Sui futuri programmi ieri è intervenuta anche la presidente Rai. «Io non sono mai per il buttare via tutto, però insomma molti, moltissimi dovranno cambiare», ha detto Monica Maggioni, intervistata a a Mix24 di Giovanni Minoli su Radio 24. E rispondendo alle critiche di Carlo Verdelli a Rainwes, diretto fino all’anno scorso dalla stessa Maggioni, «abbiamo lavorato contro tutta la burocrazia dell’azienda», ha detto la presidente. «Ci sono cento persone che fanno 24 ore di televisione, il resto lo fan gli altri. Esperimento straordinario, da lì si può costruire per andare avanti».