Marco Travaglio sbaglia su Renzi: i voti del centro…

di Marco Benedetto
Pubblicato il 18 Ottobre 2015 - 07:43 OLTRE 6 MESI FA
Travaglio o no: Renzi politicante iso Berlusconi o leader?

Marco Travaglio considera Matteo Renzi un emulo di Berlusconi..senza quella certa grandezza

ROMA – Ha davvero ragione Marco Travaglio quando traccia di Matteo Renzi il ritratto di un politico incoerente, poco più di un politicante che cerca di diventare erede di Berlusconi? O quando ne parla, con un certo spregio, come di una reincarnazione di Bettino Craxi, il defunto leader socialista e ex primo ministro diventato simbolo del peggiore costume della politica italiana?

C’è molto di vero nella tesi di Travaglio, il cui giornale, il Fatto quotidiano, sembra pendere più verso le posizioni demagogiche di Beppe Grillo. Con l’articolo su quanto risparmiano i politici e i “ricchi” in genere dalla abolizione della tassa sulla casa il Fatto ha messo deciamente il cappello sulla sedia di organo del partito dell’odio e dell’invidia, che non è più giustizia sociale né redistribuzione ma pura invidia e odio sociale.

La stessa tesi di Marco Travaglio su Matteo Renzi contiene però gli elementi per una affermazione di segno del tutto opposto: con la sua bugiarderia e la sua sfrontatezza, Renzi è depositario di una grande tradizione politica, che affonda le radici nella notte dei tempi e include un lungo elenco di grandi sovrani, condottieri, capi democratici.

Purtroppo per Renzi, l’aspetto, la voce, l’accento, il gesticolare non l’aiutano. Sembra uno dei tanti che incontri al bar e che dicono la loro. Per Paolo Villaggio Renzi non ha la “grandezza dei manigoldi” che sembra invece riconoscere a Berlusconi. Un mezzo politico, mezzo geniale, ballista e chiaccherone.

Eppure, eppure… Renzi ha conquistato quasi metà degli italiani e dopo un anno e mezzo di promesse e pochi risultati se non quelli determinati dalla congiuntura internazionale, tanto esigui che ancora pochi ci credono, resiste come pochi hanno resistito. Non è simpatico, è uno sbruffone, pochi penserebbero di passare con lui più di una mezz’ora di aperitivo al bar del paese. Eppure, eppure…

Ha messo in rotta la destra, ha fermato Attila – Beppe Grillo, spara balle ma è solo a  combattere contro l’infernale macchina dello Stato. Noi ci agitiamo per la legalità e per i suoi conti in pizzeria mentre aspettiamo con impazienza che arrivino i risultati della sua partita solitaria, con una mano legata.
S’è mai visto un politico degno di questo nome macchiarsi del delitto di coerenza? Tutto è tattica con al fondo l’Idea. La differenza fra il grande politico e il politico normale è nella grandezza delle bugie e degli ideali, cui, ciascuno, a suo modo, è fedele, alla cui realizzazione piega, appunto, la minutaglia delle contingenze.
Nel suo editoriale di sabato 17 ottobre 2015, Marco Travaglio si fa ghost writer di Renzi per una lettera a Berlusconi in cui lo stesso Renzi si attribuisce il ruolo di vero nuovo leader della destra al posto di Berlusconi, dopo averne rubato idee, concetti, principi e azioni e dopo che lui stesso Renzi e il suo partito avevano fatto battaglia contro quegli stessi principi, idee, concetti e azioni.
Incoerenza della politica, si potrebbe dire e anche grandezza politica di Renzi, che non vuol dire grandezza umana e nemmeno morale e nemmeno culturale. E anche cinismo della politica e capacità unica del grande politico e del grande partito politico di trasformare, secondo l’opportunità tattica, temi esacrati nella parte avversa in temi consacrati dall’interesse del momento, nella convinzione che tutto è funzionale al conseguimento dell’obiettivo strategico di fondo.
Di questo cinismo, che forse sarebbe più corretto definire realismo, il Pd è ultimo custode di una tradizione che, nella storia della Repubblica Italiana, ha come esempio insigne la amnistia concessa 20 giorni dopo la nascita della Repubblica da Palmiro Togliatti, ministro della Giustizia oltre che leader del Partito Comunista.
Togliatti andò contro le ragioni ideali ma salvò l’Italia dalla tragedia in cui l’ Iraq è stato precipitato dall’ottusità ideologica degli americani e degli sciiti.
Non è un caso se il Pd, ultima mutazione di quel Pci, è rimasto l’unico di una certa dimensione vivo fra i partiti che c’erano alla fine della guerra mondiale.
Può essere difficile vedere un parallelo fra quegli anni e questi, ma se si legge la politica oltre la trama della cronaca, non siamo nell’assurdo.
Scontro di classe, redistribuzione del reddito, nord e sud, destra e sinistra oggi come allora sono i termini di uno scontro che non finirà mai.
Quelli che oggi ci sembrano titani, Alcide De Gasperi come Togliatti, Arturo Michelini come Paolo Emilio Taviani o Luigi Einaudi come Enrico De Nicola o Giovanni Gronchi o Antonio Segni, non erano visti, al loro tempo, meglio di quanto siano visti oggi Renzi o Matteo Salvini, Berlusconi o Maurizio Gasparri o Pierluigi Bersani.
La differenza fra quei tempi e i nostri non è nella grandezza degli uomini ma nella dissacrazione della tv, che conferisce ai miti dei nomi la banalità dell’accento e della mimica. Ed è anche nel diverso ossequi verso i potenti dei giornali, non nella disposizione d’animo ma nella incontrollata copertura che genera rigetto a prescindere dalle intenzioni.
Oggi la democrazia è consolidata, troppo, forse, per gli sponsor di Renzi e non si combatte più per un pezzo di terra o per lavorare 40 ore alla settimana (solo i tipografi di Roma avevano già ottenuto la settimana di 35 ore, senza clamore eccessivo).
Oggi lo scontro è sul fisco, passato dai meno di 10 punti percentuali di imposte dirette del dopoguerra al 50 di oggi. Gli effetti della gigantesca redistribuzione di reddito, generato però non dalle tasse ma da Europa e Euro, sono stati, fino a 20 anni fa, positivi, sono nel benessere di cui godiamo tutti. La pressione fiscale ha passato il segno negli ultimi 20 anni e ci sta paralizzando.
Non c’è tattica elettorale di Berlusconi o pantomima pre elettorale di Enrico Letta che tenga.

Il tema delle tasse è decisivo per il futuro della sempre più povera Italia.

Anche questo non è una novità, da che mondo e mondo il rapporto fra Stato e sudditi poi cittadini si è giocato sulla pressione fiscale. Il Fisco, non i barbari o i cristiani, ha messo in ginocchio l’impero Romano, a occidente prima, a oriente molto dopo.

Se si deve giudicare anche solo dalla comica inscenata da Letta – Saccomanni sulla Imu – Tasi c’è da dire che Renzi fece cosa sacrosanta a togliere di mezzo Letta e farà cosa sacrosanta a togliere anche la tassa.

Sul rapporto Fisco – cittadini si giocherà anche il futuro della sinistra, per la quale sono cambiati, in questo ultimo mezzo secolo, i riferimenti di rappresentanza. Renzi è impegnato in una doppia partita, a sinistra per togliere acqua a Beppe Grillo, al centro, per prendere i voti necessari per vincere. Renzi ha capito che solo con i descamisados non andrebbe molto lontano. Ha presente la lezione della sinistra sconfitta in tutta Europa quando resta attaccata ai vecchi parametri, sa che i voti che contano si prendono al centro.
Berlusconi non può parlare troppo, perché l’ultimo giro di vite del Fisco non nasce con il Pd al governo, nasce con Berlusconi e Tremonti. Berlusconi parlava in un modo ma poi aveva troppo da fare per curare i propri interessi, finanziari e sessuali, e lasciava agire Tremonti. Tremonti voleva solo fare le scarpe a Berlusconi e accreditarsi presso chi tiene i fili in Europa con un gauleiter affidabile.
Poi venne Mario Monti e per questo la memoria di Giorgio Napolitano ci tormenterà sempre, via via che sfumerà l’incenso della propaganda e in Italia si metterà meglio a fuoco il danno che ha fatto, nello stesso girone in cui metteremo Berlusconi che lo ha voluto e Pierluigi Bersani che lo ha votato.