Suicidio Monicelli. Ai medici disse: “Sono solo e depresso”

Pubblicato il 30 Novembre 2010 - 21:14 OLTRE 6 MESI FA

Mario Monicelli

Nel vassoio della cena la minestrina, l’arrosto e la bieta del lunedì. Chi lo ha ritirato, alla fine, è fra le ultime persone ad aver visto Mario Monicelli in vita. Dieci minuti alle venti del 29 novembre. ”Passiamo sempre così velocemente, non sapevo che fosse lui”, si rammarica oggi. Novanta centimetri di parapetto, qualche minuto dopo, sono stati sufficienti a fare da leva al corpo smagrito e debolissimo del regista, perché riuscisse a lanciarsi nel vuoto senza troppo sforzo, dal quinto piano del S. Giovanni di Roma.

Il Maestro de “La Grande Guerra” e “I Soliti Ignoti” è andato via, dopo la terapia delle 20, quando si è trovato, come sempre, da solo. Sul suicidio, la Procura di Roma ha aperto una inchiesta. ”Mi sento abbandonato e depresso”, avrebbe detto a qualcuno, in ospedale, quest’ultima volta. L’ennesimo ricovero, dopo anni di cure per un cancro alla prostata, era arrivato domenica.

Ma il reparto di Urologia 2, dove si trovava da domenica scorsa, si blinda: ”Per rispettare appieno la volontà della famiglia non rilasceremo alcuna dichiarazione”, dicono prima il direttore generale Gianluigi Bracciale, poi il medico che seguiva da tempo il decorso del cancro, Gianluca D’Elia. Il piano e’ percorso in lungo e in largo, per tutto il giorno, dalla vigilanza.

Mentre la famiglia difende i sanitari: ”L’ospedale San Giovanni ha aiutato mio marito nel suo ultimo anno di vita come forse mai nessun altro”, dice Chiara Rapaccini. ”Voglio dire soltanto che io, la moglie, e tutta la famiglia Monicelli, vogliamo ringraziare chi ha fatto la cosa piu’ straordinaria ed ha aiutato Mario nell’ultimo anno: sono stati vigili, attenti e meravigliosi”, aggiunge. Le tre figlie filano via senza dire una parola, dopo una visita in mattinata alla camera mortuaria.

Parla per tutti il nipote, Niccolo’, figlio di uno dei fratelli del regista. E’ lui a spiegare che non ci saranno funerali, né camera ardente ”per Mario Monicelli”. Lo chiama per nome e cognome, più di una volta, in segno di rispetto, mentre si commuove. Davanti al complesso dell’Addolorata, Niccolo’ lascia cadere ogni domanda sulla scelta dello zio: ”Non abbiamo il diritto”, esce dalla sua bocca, a un certo punto, mentre trattiene le parole. ”Non è una tragica fine – replica a chi usa questa espressione – Ha vissuto fino in fondo: ha fatto quello che voleva, come voleva, e a differenza di altri, anche più volte nella vita”. ”Una persona semplice, normale, legato a tutte le persone. Di ricordi al Paese ne ha lasciati tanti, ricordatelo coi suoi film”, aggiunge. Si sentiva solo e abbandonato? ”Non so chi lo abbia detto e non ci interessa. Noi sappiamo come sono andate veramente le cose”, risponde.

In ospedale, però c’è chi non ha timore, nonostante i veti, di consegnare alla memoria degli altri l’immagine di Monicelli, ‘paziente’. ”Arrivò 5 anni fa, una barella fra le altre”, dice Anna, tecnico radiologo. Le bretelle rosse, per tenere su i pantaloni, una enorme chiave di casa, in tasca, di quelle vecchio stile. Nessuna paura, niente che facesse pensare a un uomo aggrappato a qualcosa, a un dio: ”Un uomo asciutto, coraggioso, sempre solo”. Un anno fa lo videro ”con gli occhi assorti nel vuoto, si era spento”. Non era più quello che aveva scherzato coi radiologi, interrogandoli: ”Di chi è Marchese del Grillo? Non lo sai, e sei di Roma?”. Monicelli era però un uomo lucido. ”Lo è stato di certo anche ieri. Ha fatto bene – secondo Anna – ha capito che mancava poco, e ha deciso lui”.