Greenpeace, Mosca riduce le accuse: i 30 detenuti non sono “pirati” ma “vandali”

Greenpeace, Mosca riduce le accuse
(Foto LaPresse)

MOSCA – Da ‘pirati’ a ‘vandali’, come le Pussy Riot: è la piroetta giudiziaria con cui gli investigatori russi hanno derubricato le accuse contro i 30 attivisti di Greenpeace detenuti da oltre un mese a Murmansk per una pacifica protesta contro una piattaforma petrolifera artica di Gazprom.

Era stato lo stesso Putin ad ammettere per primo che gli autori del blitz ”non sono pirati”. La nuova imputazione comporta una pena massima di sette anni, contro i 15 previsti per il reato di pirateria. Per Greenpeace Russia si tratta comunque di accuse ”fantasiose” e ”largamente sproporzionate”.

La correzione di rotta del comitato investigativo arriva alla fine di una giornata in cui Mosca aveva sfidato l’opinione pubblica mondiale in nome della propria ”sovranita’ nazionale”, sottraendosi al giudizio di un tribunale internazionale richiesto da Amsterdam nel caso della ‘Arctic Sunrise’, la nave battente bandiera olandese usata dai militanti di Greenpeace per la loro protesta. Secondo il ministero degli esteri russo, il tribunale internazionale per il diritto marittimo, organo indipendente dell’Onu con sede ad Amburgo, non ha giurisdizione su violazioni di leggi russe e quindi di diritti sovrani.

Una posizione ”inaccettabile” e ”arbitraria” per l’associazione ambientalista. Ma Mosca aveva lanciato anche un primo segnale di disgelo, sottolineando che ”la Russia resta aperta alla soluzione della situazione”. Forse la derubricazione del reato va in questa direzione. Da un mese la Russia resiste alle proteste dei 18 Paesi da cui provengono gli attivisti, tra cui l’italiano Christian D’Alessandro. In prima fila, nel braccio di ferro tra Mosca e l’Occidente, c’è l’Olanda, che due giorni fa ha chiesto al tribunale internazionale per il diritto marittimo ”misure provvisorie” come il dissequestro della Arctic Sunrise e la liberazione dei militanti. La mossa ha inasprito le tensioni tra i due Paesi, alimentate anche da recenti episodi di percosse ai rispettivi diplomatici proprio nell’anno incrociato Russia-Olanda, che sarà chiuso l’8 novembre da una cerimonia con Putin e il re Guglielmo Alessandro, la cui presenza era stata messa in forse sino a qualche giorno fa.

Mosca ha fatto muro, boicottando l’iniziativa giudiziaria olandese, anche a rischio di peggiorare ulteriormente la propria immagine internazionale. Il ministero degli esteri ha fatto sapere infatti che la Russia non intende partecipare alla procedura arbitrale ”per risolvere contenziosi riguardanti i diritti sovrani e la giurisdizione”, trattandosi di violazioni ”di leggi russe sulla zona economica esclusiva e sulla piattaforma continentale”. Mosca invoca il fatto di aver ratificato nel 1997 la convenzione Onu sul diritto marittimo allegando una dichiarazione nella quale precisa di non accettare procedure che portino il tribunale a decisioni vincolanti sulla sovranità nazionale.

Pur definendo ”positiva” l’apertura manifestata per la prima volta dalla Russia per risolvere il caso, Greenpeace ha obiettato che Mosca ”non può scegliere quale parte della Convenzione dell’ Onu sul diritto marittimo applicare”, accusandola di aver ”allargato questo sistema di esclusioni in maniera intollerabile”. ”Se la Federazione Russa crede che il tribunale marittimo internazionale non abbia giurisdizione in merito, sarebbe appropriato che sollevasse la questione nel corso dell’udienza”, ha osservato Daniel Simons, consulente legale di Greenpeace International.

”Sembra che le autorità russe non accettino che un tribunale indipendente valuti l’illegittimità delle misure prese”, ha aggiunto. Tenace alfiere del rispetto del diritto internazionale, a partire dalla carta Onu nella crisi siriana, Mosca questa volta lo ha dribblato arroccandosi nella difesa della propria sovranita’ nazionale in nome di interessi che considera strategici e inviolabili, come l’esplorazione petrolifera dell’ Artico, uno degli ecosistemi piu’ fragili e vulnerabili del pianeta ma gia’ diventato il nuovo Eldorado per molte major energetiche. E pragmaticamente ha preferito un autonomo gesto di ”clemenza”, piuttosto di doversi sottomettere ad un verdetto internazionale.

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