Fulvia, barista a nero e il suo padrone: “Morto un parente? Vai ai funerali e sei fuori, dovevi dirlo 7 giorni prima”

di Lucio Fero
Pubblicato il 13 Luglio 2017 - 15:10 OLTRE 6 MESI FA
Fulvia, barista a nero e il suo padrone: "Morto un parente? Vai ai funerali e sei fuori, dovevi dirlo 7 giorni prima"

Fulvia, barista a nero e il suo padrone: “Morto un parente? Vai ai funerali e sei fuori, dovevi dirlo 7 giorni prima”

ROMA – Fulvia, barista a nero e il suo padrone. La storia la trovate su L’Espresso cui Fulvia l’ha narrata (nascondendosi però dietro un sostanziale anonimato) e sul Corriere della Sera dove Massimo Gramellini l’ha stampata a storia esemplare. Fulvia, barista a nero a Roma, barista in un centro commerciale. O forse neanche proprio a nero, forse precaria, di una precarietà di cui il padrone (stavolta va chiamato così) approfitta ed abusa.

A Fulvia muore un parente, non sappiamo il grado di parentela ma di parente stretto si tratta. Fulvia comunica al padrone, immaginiamo non all’astratta direzione del centro commerciale ma a un “responsabile”, un capo uomo o donna che sia in carne e ossa, che intende recarsi al funerale. La risposta è: no, non ci vai, al funerale del tuo parente non ci puoi andare con il permesso di assentarti dal lavoro. E immaginiamo poi il sorriso di compatimento con cui è stato accompagnato il diniego, compatimento e irrisione.

Già, perché a Fulvia hanno detto che non poteva andare perché non aveva dato preavviso di una settimana. Questo è irridere, prendere in giro, malmenare dall’alto del proprio potere, è cattiveria proterva. Come mai si può dare preavviso di una settimana per recarsi a un funerale? Il defunto doveva quindi essere così accorto da avvisare i parenti prima di morire? O quel padrone presume la salma venga tenuta in frigo almeno sette giorni in modo che lui possa sostituire con agio i suoi dipendenti che partecipano alle esequie? Ovviamente no, quel padrone sa benissimo che non si muore col preavviso né si fanno funerali sette giorni almeno dopo la morte. Quel padrone sta solo infierendo su Fulvia, con crudeltà malamente mascherata da sarcasmo.

Se avesse avuto un contratto vero Fulvia barista avrebbe avuto come tutti quelli che hanno un decente contratto di lavoro tre giorni di riconosciuta e legittima assenza dal lavoro per lutto familiare. Ma Fulvia un contratto vero non ce l’ha. Questo però non spiega tutta, se Fulvia avesse avuto un datore di lavoro e non un padrone, se un umano razionale e non un automa ringhioso, se solo fosse stato un imprenditore, una capo risorse umane, un manager e non un picchiatore di sottoposti come professione, allora la storia di Fulvia non sarebbe mai arrivata ai giornali e lei sarebbe andata a quel funerale.

Viene, per speranza e carità di patria, da augurarsi il paradosso che la storia di Fulvia non sia vera, sia stata gonfiata, fraintesa. Perché se davvero in un centro commerciale di Roma esiste un padrone, capo, dirigente, manager, responsabile del personale così come dalla storia di Fulvia, se davvero c’è uno o una così e non lo cacciano subito, allora non c’è speranza né carità e siamo ormai patria di cittadini…infami.