Lgbtqia+ si è allargato. Ma dal caso Cloe Bianco-Elena Donazzan una domanda scomoda

Lgbtqia+, si allarga l'acronimo, cresce la mobilitazione, la rappresentanza e la rappresentatività del movimento perché ogni identità sessuale abbia diritto di cittadinanza. Ma sul caso Cloe Bianco-Elena Donazzan due le storie e una scomoda domanda.

di Lucio Fero
Pubblicato il 20 Giugno 2022 - 08:58 OLTRE 6 MESI FA
cloe foto ansa

Lgbtqia+ si è allargato. Ma dal caso Cloe Bianco-Elena Donazzan una domanda scomoda (foto Ansa)

Lgbtqia+, si è allargata la sigla, è cresciuta la lunghezza dell’acronimo. E si allarga la capacità di mobilitazione come dimostrano i vari Pride di piazza e corteo. E si allarga anche la capacità di rappresentanza e riconoscimento, nella società, nella comunicazione, nella politica, nel politicamente corretto e anche nella convivenza civile. Ma il caso Cloe Bianco-Elena Donazzan pone una domanda molto scomoda e perciò inevasa e negata, la domanda è: dal riconoscimento/affermazione/difesa dei diritti di ogni identità sessuale si può passare all’egemonia cultural-valoriale di ogni identità sessuale purché non sia eterosessuale?

Identità e orientamento

Secondo vocabolario delle comunità identità e orientamento sessuale sono ben lontane dall’essere la stessa cosa: l’identità è la percezione del singolo della propria appunto identità sessuale, orientamento è invece la scelta della propria sessualità. Una sorta di socio-giuridichese per affermare in sostanza  che non esiste solo la “binarietà” maschile-femminile ma molte (e variabili) sono le scelte, i bisogni e le forme e le sostanze sessuali. E ognuna è a suo modo normalità. E che discriminazioni e concetti quali deviazioni dalla normalità sono negazioni di diritti e di libertà. Quindi il movimento Lgbtqia+. L sta per lesbismo. G per gay. B sta per bisessuali. T per trans. Q per queer, in sostanza per chi di sicuro non è etero e del resto non sa o non vuol sapere con precisione. I sta per intersessuali, cioè per chi ha variazioni fisiche, variazioni rispetto alla suddetta “binarietà”. A sta per asessuali. E il segno + sta a significare l’inclusione di tutto gli altri. Tutti, tranne ovviamente gli eterosessuali banalmente “binari”. Un vasto movimento, sempre più forte, riconosciuto, accreditato. Un vasto movimento per l’affermazione di dignità, rispetto e tutela negati.

Cloe Bianco, due storie

Storia numero uno: Cloe Bianco è insegnante nella scuola pubblica, all’anagrafe il suo nome non è Cloe, è un nome maschile ma non si sente maschio. Vive altra identità sessuale e la manifesta, fino ad indossare abiti femminili anche sul luogo di lavoro. Per questo viene progressivamente allontanata dalla cattedra, messa in ufficio. Messa ai margini, fino a che Cloe Bianco non sceglie il suicidio. Questa la storia secondo il movimento Lgbtqia+ e anche secondo il ministro Orlando e anche secondo il sindacato, la storia di una vittima e solo vittima e la storia di una martire o quasi della più giusta delle cause: la pari dignità sociale di ogni identità e orientamento sessuale.

Storia numero due

In classe con parrucca bionda, seno finto, minigonna e tacchi, usando la scuola come vetrina. E’ la storia numero due quella di Elena Donazzan all’epoca assessore all’Istruzione in Veneto. Dice oggi la Donazzan: “Dirsi apertamente omosessuale è un conto, in classe con seno finto, minigonna e tacchi è altro, è non rispettare la scuola, è usarla come vetrina. Dissi che era un uomo che si vestiva da donna, cosa altro era?”.

Elena Donazzan milita in Fratelli d’Italia, non le si può chiedere di capire che per una sensibilità come quella del mondo Lgbtqia+ dire “uomo vestito da donna” è offesa primaria, anzi negazione del primo diritto e diritto primo, quello di non avere sesso di appartenenza obbligatorio e stampato alla nascita. No, questo la cultura di Elena Donazzan non lo comprende.

Ma davvero il fatto che venga da una donna di Fratelli d’Italia basta e giustifica ad ignorare la sua di storia? E a giudicare incongrua se non crudele o peggio la sua domanda? La domanda è: da una cattedra di scuola una o un insegnante possono certo non nascondere la loro omosessualità o quel che sia. Devono anzi poterla manifestare senza repressione o danno, tanto meno vergogna o imbarazzo.

Questa è la linea della libertà. Ma la linea della libertà, di tutte le libertà, ha un confine, quello dello spazio della libertà altrui. Esser liberamente gay, sentirsi liberalmente donna anche se maschio all’anagrafe, esser gay visibilmente gay anche da prof in cattedra è libertà, ma lo è altrettanto affermare la superiorità della propria istanza, del proprio bisogno, della propria identità su ogni altro valore? Il seno finto arreda una libertà rivendicata o sta lì ad affermare che l’unica identità che conta e deve contare per prima è quella sessuale e non quella di insegnante? Se un eterosessuale esibisce la sua identità sessuale, se maschio rischia forte di incorrere in…metoo, se donna le si imputa almeno volgarità.

Tra repressione omofoba e scalata all’egemonia non etero

L’identità sessuale, quale che sia, va tutelata nella sua libertà, difesa, garantita, resa appunto concretamente libera. Ma anche esibita letteralmente da ogni cattedra e pulpito possibile quale lieta novella? Tra la repressione omofoba nelle fondamenta e scantinati della società e la tentata, scalata alla egemonia culturale della non eterosessualità davvero non c’è e non ci deve essere una terra di mezzo dove diritto e doveri formano insieme l’identità del cittadino e quella del cittadino è la prima e più libera delle identità?