BOLOGNA – Italiani ma musulmani. E per loro, a Bologna, le porte delle case in affitto restano chiuse. Non una o due, ma ben sette volte. A raccontare una storia piena di pregiudizi e rifiuti è Rassmea Salah, italiana, già consigliera comunale a Bresso.
Racconta Rassmea che per ben sette volte, insieme a suo marito Ilias Benaddi, ha cercato di prendere una casa in affitto a Bologna. E che per le stesse 7 volte si è sentita dire di no. Per i motivi più disparati. C’è chi le ha detto che non affittava a italiani (e loro lo sono), chi ha avuto a che dire sul suo velo, chi invece le ha chiaramente detto di non voler avere niente a che fare con i musulmani perché “con tutte quelle che si sentono in tv”.
Così al Corriere della Sera Rassmea racconta che alla fine, per ora, di casa a Bologna non se n’è fatto nulla e che ora la coppia vive da amici a Sassuolo. A raccontare la storia dei due, per il Corriere, è Francesco Romano:
Lui ha un contratto a tempo indeterminato con una ong internazionale, lei lavora come addetta stampa. I candidati ideali, viste le referenze, per qualsiasi padrone di casa. Ma non stavolta, non a Bologna. Perché Ilias Benaddi e Rassmea Salah saranno italianissimi per lo Stato italiano, ma non lo sono abbastanza i padroni di casa bolognesi, che in cinque mesi di ricerche hanno respinto per sette volte le loro proposte di affitto. Senza nascondersi nemmeno dietro il dito dell’ipocrisia: «Non affittiamo a stranieri», «Il velo potrebbe preoccupare i vicini», «Suo marito lavora per una ong islamica, sa come va di questi tempi…». Uno stupidario razzista che alla fine li ha costretti a desistere, trasferendosi in casa di amici nel Modenese in attesa di tempi migliori. O meglio, di padroni di casa migliori.
L’elenco dei rifiuti è imbarazzante. Ancora il Corriere:
«Abbiamo visto una trentina di case, abbiamo fatto sette proposte. Ci hanno sempre rifiutati, nonostante le referenze i quattro contratti a tempi indeterminato (ci sono anche i genitori, ndr) che diamo come garanzia». Alcuni messaggi sono stati più evasivi, altri decisamente diretti. Ma la ragione dietro i ripetuti no è sempre la stessa: «Siete musulmani». Declinata in modi diversi, a volta mascherati dietro un finto tatto. Altre volta con parole decisamente più dirette. «In un messaggio ci hanno scritto chiaramente che non c’era nulla da fare perché i proprietari preferivano affittare a italiani, senza rendersi nemmeno conto che noi siamo italiani…». Altre volte il niet ha assunto i toni del grottesco. «Una signora ha rifiutato la nostra offerta dopo aver saputo che mio marito lavora per una ong di stampo musulmano: “Sa se ne sentono tante in televisione di questi tempi”».
E poi c’è il velo, spauracchio immediato (a quanto pare) per molti padroni di casa bolognesi. Poco importa che a indossarlo sia una ragazza nata in Italia, per giunta con una laurea e un master. «Una proprietaria ci ha detto di essere preoccupata per come il vicinato avrebbe potuto prendere la presenza di una donna con il velo nel condominio», racconta Rassmea, che non riesce a nascondere la rabbia dietro la sua delusione. «Forse quello che mi hanno detto finora di Bologna è solo un’immagine fittizia, dietro la quale si nasconde un razzismo strisciante: all’inizio tutti ci dicono ‘non c’è problema’, ma poi alla fine i proprietari ci respingono. Ma noi vogliamo un quartiere pulito, residenziale e sicuro come chiunque, visto che ce lo possiamo permettere — rivendica — non una periferia, magari piena di prostitute e spacciatori, solo per una questione identitaria».
I commenti sono chiusi.