Immigrazione: a Roma c’è “Naznet”, simbolo dell’integrazione

Pubblicato il 12 Gennaio 2010 - 20:35 OLTRE 6 MESI FA

Al piano terra di un palazzone di otto piani, dove una volta c’era la hall degli uffici dei colletti bianchi, adesso c’é un bar improvvisato e si vedono solo volti dalla pelle nera. Su un tavolo un televisore trasmette le partite della Coppa d’Africa, regolarmente interrotte dai servizi dei tg sugli scontri degli ultimi giorni a Rosarno.

Immagini sconosciute agli inquilini di Naznnet, l’ex-edificio dell’Inpdap nella periferia di Roma, in via Collatina: un posto occupato da 500 immigrati africani, che i suoi abitanti chiamano “Libertà” (Naznnet in tigrino). «Noi abbiamo un ottimo rapporto con gli altri residenti del quartiere», precisano orgogliosi gli occupanti di Naznnet, popolato fin dal 2004 maggiormente da etiopi ed eritrei che chiedono asilo politico in Italia.

Dal civico 385 di via Collatina, che in quel tratto taglia una zona industriale solo con capannoni, all’alba in molti salgono sull’autobus 451 e si guadagnano il pane come operai o ambulanti. “Questa è gente che lavora e cerca di vivere dignitosamente, qui sono rispettati da tutti”, dice Alfredo Di Fante dell’Agenzia di sviluppo del vicino quartiere di Tor Sapienza. A Naznnet, uffici e ripostigli sono diventati appartamenti popolati da due o tre coinquilini, ma in rari casi anche da famiglie di sei persone. Nei corridoi stretti, dalle pareti grigie e azzurre, i ricci di carta da parati staccata dai muri lasciano il posto a santini o scritte, ci sono lavelli e stendipanni e si incontrano donne delle pulizie chinate su cicche e cartacce, ma anche bambini che tornano dalla vicina scuola a Tor Sapienza o giovani con la busta della spesa.

Dalle porte socchiuse, ognuna numerata come in un albergo, esce odore di intrugli di verdura, con musica in lingua tigrina pompata da piccoli stereo. Su ogni piano 70 persone condividono cinque bagni e tre docce. Ad accogliere chiunque, al piano terra, ci sono due bar-ristoranti ricavati dalla sala d’attesa del vecchio istituto, rimpiazzata da biliardi e tavolini. Qualche anno fa, nell’edificio, era stata arrangiata una chiesa pentecostale e qualcuno aveva allestito una piccola moschea in una camera. Poi quegli spazi hanno fatto posto ad altre sale per nuovi arrivi. L’edificio ha una struttura identica alle ‘vele’ del quartiere di Scampia a Napoli, ma anche a quelle di Villeneuve-Loubet nella Costa azzurra francese: forma triangolare con una larga alla base che si restringe verso i piani superiori. Una vela. Sfigurata dalle antenne paraboliche, che spuntano come funghi dalle finestre e sono tutte puntate verso l’Africa.

«Ci siamo opposti al regime eritreo, rifiutando il servizio di leva a vita», dice Tsegai, uno dei primi occupanti di Naznnet, ex-inquilino dell'”hotel Africa”, il vecchio magazzino sgomberato in via Tiburtina. Tsegai, che gira con la Costituzione Italiana multilingue nella tasca e ne distribuisce copie a tutti, sottolinea che a Naznnet quel caos apparente ha delle regole: «Ci autogestiamo con dei comitati scelti attraverso libere elezioni. Chi ha il bar e il ristorante paga un affitto, quei soldi sono per i servizi della comunità».

Su ogni piano ci sono turni per tutti, dalle pulizie alla vigilanza. Chi vive a Naznnet ha una propria tessera di riconoscimento con foto, un timbro e il disegno di un’aquila che spiega le ali cielo. «Ci siamo guadagnati la nostra naznnet, la nostra libertà – dicono – dopo che, su un gommone, abbiamo sfidato il Mediterraneo per venire qui in Italia». Perché a Roma gli immigrati africani si sentono più sicuri a bordo della loro barca a vela di cemento a otto piani. Ancorata nel deserto di via Collatina.