E’ passata la notte, in carcere da solo. Una notte insonne. E se ieri sera, dopo la sentenza di condanna in primo grado a 25 anni di carcere per l’omicidio di Meredith Kercher, Raffaele Sollecito era rimasto impassibile, il giorno dopo ha preso coscienza. «Mi sembra di vivere in un incubo infernale: cosa faccio adesso?», ha detto sabato mattina. Il giovane pugliese, racconta chi l’ha visto, non sta bene tanto che l’avvocato Luca Mauri ha chiesto ai responsabili del carcere di Capanne di tenerlo sotto stretta osservazione e di valutare se fosse il caso di rafforzare l’assistenza psicologica.
«Perché sono qui? Perché si sono comportati così?», ha detto Raffaele all’avvocato Mauri che gli ha fatto visita sabato mattina. Il giovane ha ribadito la sua innocenza: «Io non ho fatto nulla, non c’entro niente con questa storia, sono disperato e distrutto». Dopo esser tornato in cella al tribunale di Perugia, Sollecito è stato tenuto in osservazione dagli agenti della polizia penitenziaria. In cella con lui un condannato per reati sessuali. Le sue condizioni di salute, ribadisce l’avvocato, non sono buone «é molto abbattuto – dice Mauri – abbiamo parlato con lui e gli abbiamo spiegato la situazione. Questo sarà solo un primo passo per arrivare a quello che sarà sicuramente un appello che riformerà totalmente la sentenza».
Il legale ha anche annunciato che chiederà al Dap di lasciare Sollecito in un carcere umbro per non rendergli la detenzione ancora più difficile. E ha chiesto che possa avere ulteriori testi per proseguire i suoi studi. Al momento però non è questo il primo problema di Raffaele, bensì quello di capire e di affrontare la sua situazione visto che ancora non si è reso conto di quanto gli è accaduto. E non é un caso che a tutti quelli che in carcere hanno avuto modo di parlarci ha ripetuto quella frase: «Che ci faccio qui, cosa faccio adesso?».