ROMA – L’Isis minaccia vendetta per l’attentato messo a segno nelle moschee di Christchurch in Nuova Zelanda dove sono stati uccisi 50 musulmani e ne sono stati feriti oltre 30. Un attentato avvenuto in diretta social, che spaventa. Il mondo jihadista dopo il massacro si dice pronto a rispondere alla “guerra dei crociati”: così la chiamano nelle chat Telegram dei gruppi affiliati ad Al Qaeda. “Rispondere col linguaggio del sangue”, si legge ancora nel canale Telegram filo Isis Al-Asyaf Al Baghdadi. La vendetta sarà colpire le chiese, sottolinea il Site. Poi ancora foto di fucili e bandiere nere del Califfato.
La strage di musulmani del suprematista di estrema destra Brenton Tarrant, trasmessa in streaming su Facebook dalla video camera go-pro montata sul suo casco, ha sconvolto il mondo. Una violenza brutale, un attacco di terrorismo feroce, a cui l’Isis promette di rispondere versando il “sangue dei crociati”. Tarrant aveva inciso sulle proprie armi i nomi degli ‘eroi’ simbolo delle guerre contro i musulmani, da Poitiers a Lepanto: il re franco Carlo Martello, il doge Sebastiano Venier, l’ammiraglio veneziano Marco Antonio Bragadin scuoiato vivo dai musulmani. Tutti nomi scritti con il pennarello bianco sui due mitra imbracciati dall’uomo per la sua carneficina.
Da estremista suprematista a estremista islamico, la risposta non si è fatta attendere. I jhadisti promettono che “la vendetta arriverà presto”. E minacciano: “Avete aperto i cancelli dell’inferno sulla vostra isola”. Tarrant è stato arrestato e dovrà comparire in tribunale il prossimo 5 aprile, ma lui stesso rischia il linciaggio in carcere, come riporta l’Ansa. “Anche noi abbiamo amici in prigione…”, avrebbe minacciosamente sussurrato al New Zealand Herald uno dei membri di una banda che ha offerto sostegno alle famiglie delle vittime. “Siccome sono venuti in Nuova Zelanda, adesso sono dei nostri. Sono la nostra gente”, hanno spiegato, aggiungendo che quello che Tarrant ha fatto “è stato disgustoso, sbagliato in ogni modo possibile”.
In tutto il Paese si moltiplica la raccolta fondi per aiutare chi è rimasto a piangere i propri morti, la maggior parte sempre attraverso la rete. Le donazioni online hanno superato i 6 milioni di dollari. Intanto a due giorni dall’attacco Facebook ha annunciato, attraverso la sua responsabile per la Nuova Zelanda Mia Garlick, che “nelle prime 24 ore, abbiamo rimosso 1,5 milioni di video dell’attacco in tutto il mondo, di cui oltre 1,2 milioni sono stati bloccati mentre venivano caricati”.
Agli interventi, realizzati grazie a un mix di automatismi tecnologici e azioni umane, sono sfuggiti 300 mila video: un tasso di fallimento pari al 20 per cento del totale. Non solo. Secondo il blog statunitense TechCrunch, molti video sono stati postati su Facebook fino a 12 ore dopo l’attacco e non è ancora chiaro quante visualizzazioni, condivisioni e like ci siano stati in questa infinita moltiplicazione del terrore online i cui rischi non sono solo virtuali.
Fonte Ansa