Su Facebook infuria la caccia ai criminali, negli Usa attivissimi Fbi e fisco

Pubblicato il 18 Marzo 2010 - 12:53 OLTRE 6 MESI FA

Le forze dell’ordine sempre più di frequente si rivolgono a Facebook e ad altri social network per scovare malviventi o “origliare” conversazioni che potrebbero portare a scoprire attività illegali. Ne sa qualcosa Pasquale Manfredi, giovane boss dell’ndrangheta, arrestato pochi giorni fa grazie alla sua mania di collegarsi a Facebook.

In America, gli agenti dell’Fbi e quelli del temutissimo Irs, l’agenzia del fisco, fanno collezione di amicizie. Il loro modo di operare finora era sempre stato avvolto nel mistero, ma l’Electronic Frontier Foundation, un’associazione per la difesa delle libertà digitali, ha pubblicato nei giorni scorsi un rapporto in materia ottenuto dal Dipartimento della Giustizia Usa.

Da esso si scopre che l’Fbi fornisce agli agenti un piccolo manuale per operare sotto copertura in Rete, in particolare su Facebook. Diventare “amici” di un criminale può servire per conoscere la sua attuale residenza, esaminare la sua lista di contatti per scovare eventuali complici, vagliare la sua collezione di foto per cercare, per esempio, immagini della refurtiva proveniente da un furto. Tale modo di operare pone però alcuni problemi di natura legale.

Per diventare amici del ricercato e ottenere le informazioni, infatti, gli agenti dell’Fbi gli si presentano, per ovvie ragioni, sotto falso nome. Com’è noto, Facebook si differenzia però da altri siti similari, proprio perché esige che gli utenti interagiscano usando le loro vere generalità. Comportarsi come gli agenti federali, costituisce dunque una palese violazione dei “terms of service” del network. L’Irs, che ha a sua volta pubblicato un corso sui social network per i propri funzionari, adotta invece un approccio diverso, esigendo che gli investigatori si presentino in Rete senza mai camuffare la loro identità.

Un’altra strada seguita dalle agenzie governative per raccogliere informazioni utili alle indagini, è quella di chiedere i dati che occorrono direttamente ai gestori dei vari network. Secondo il documento dell’Fbi, in questo Facebook si dimostra particolarmente “collaborativo”, mentre Twitter richiede sempre, per fornire i dati, una richiesta formale firmata da un giudice.

Che Facebook collabori con la Cia e altre agenzie governative Usa, è cosa nota; a nessuno piace però passare per delatore, e subito dopo le rivelazioni dell’EFF, un portavoce del network ha affidato alcune dichiarazioni al sito Cnet.com, specificando che lo staff “esamina attentamente ogni singola richiesta di accesso ai dati, ne esige una precisa motivazione e ove ritenga che tale richiesta sia pertinente, rivela comunque il minimo indispensabile di informazioni relative all’utente”.

Una risposta che però lascia soltanto parzialmente soddisfatti, dato che non rivela né quante richieste di accesso ai dati Facebook riceva all’anno, e neppure a quante dia corso anche senza un ordine formale dell’autorità giudiziaria.