Tregua in pezzi, missili Hamas. Israele risponde, uccisa bimba di 2 anni

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Agosto 2014 - 00:08 OLTRE 6 MESI FA
Tregua in pezzi, missili Hamas. Israele risponde, uccisa bimba di 2 anni

Gaza City (LaPresse)

IL CAIRO –  Missili su Tel Aviv e Gerusalemme e raid su Gaza: la guerra nella Striscia è riesplosa dopo giorni di tregua, in attesa di un “accordo duraturo” tra Israele e palestinesi, mediato dall’Egitto e con la benedizione della comunità internazionale. Poco prima dello scadere della mezzanotte, il termine fissato due giorni fa per prolungare il cessate il fuoco e dare spazio alla trattativa, le brigate Qassam, il ‘braccio militare’ di Hamas, hanno sparato una ventina di missili contro Israele, almeno due sono caduti nell’area metropolitana di Tel Aviv e le sirene d’allarme hanno risuonato anche a Gerusalemme, dove, secondo il portavoce della polizia, un razzo è stato intercettato dagli Iron Dome fuori dalla zona urbana.

E’ la risposta ai raid israeliani, una ventina, lanciati su Gaza dopo che tre razzi sparati dalla striscia erano finiti in territorio di Israele mentre la tregua era ancora in corso e i negoziati al Cairo febbrili. “Abbiamo sparato contro l’aeroporto Ben Gurion”, hanno affermato poi le brigate Qassam, rispolverando una minaccia capace di bloccare lo spazio aereo israeliano. Dopo la prima selva di razzi, tre quelli sparati nelle prime ore del pomeriggio, la risposta israeliana non si è fatta attendere: i caccia F16 israeliani, supportati dalla Marina, hanno bombardato diverse aree della Striscia, da nord a sud.

A Rafah almeno due bambini di 6 e 9 anni, secondo fonti locali, sono rimasti feriti. A Gaza City il bilancio più pesante: una bimba 3 anni, è stata uccisa dai raid assieme a una donna e un’altra persona. Oltre 40 i feriti. Nel complesso, secondo i militari israeliani, sono 40 i missili lanciati contro Israele e 30 gli obiettivi colpiti dai raid israeliani su Gaza. In una manciata di minuti la speranza che si arrivasse a una intesa duratura si è trasformata in panico, con migliaia di palestinesi in fuga in cerca di riparo e l’ordine di riaprire i rifugi in una parte del territorio israeliano, mentre le batterie Iron Dome intercettavano altri missili sparati dalla Striscia e le esplosioni dei raid scuotevano Gaza. Le prime avvisaglie delle nubi oscure che avevano avvolto il negoziato al Cairo erano arrivate in mattinata, con Hamas e la Jihad islamica, le due fazioni radicali palestinesi sedute al tavolo negoziale assieme ai moderati di Abu Mazen, che si erano ritrovate pronte ad accusare Israele di voler impedire con “la sua intransigenza” un accordo mediato dall’Egitto.

“I negoziati possono fallire in qualsiasi momento”, aveva tuonato un rappresentante della Jihad. Quindi un portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, citato dall’agenzia ufficiale egiziana Mena, ha rincarato la dose della retorica: “Se Netanyahu non capisce la politica al Cairo… sapremo come fargliela capire”. Poi i razzi, i raid israeliani e il richiamo della delegazione dal Cairo, con i tre alti responsabili dei servizi segreti dello Stato ebraico partiti in serata dalla capitale egiziana a segnare il congelamento del negoziato. Hamas, che nega ogni responsabilità nel primo lancio di razzi di oggi che ha posto fine alla tregua – in ambienti palestinesi attribuito a un gruppo salafita – accusa Israele di aver colto l’occasione per riprendere la sua azione militare e porre fine a un negoziato “che non aveva fatto nessun passo avanti”. Un tema, quest’ultimo, rilanciato anche dal capo negoziatore palestinese, Azzam al-Ahmad – vicino al presidente Abu Mazen – che ha imputato a Israele di aver “voluto imporre le proprie condizioni”. Benyamin Netanyahu – pressato sul fronte interno e impegnato a garantire quella “sicurezza” che le comunità israeliano sotto il tiro dei razzi pretendono – aveva del resto avvertito fin da ieri che se il fuoco dalla Striscia fosse ripreso anche con un colpo solo, la risposta sarebbe stato dura.

E oggi 19 agosto non ha esitato a ordinare con il ministro della Difesa Moshe Yaalon una risposta immediata dell’esercito contro quelli che un portavoce militare ha definito “obiettivi terroristici” nella Striscia. Fonti palestinesi vicine ai colloqui, tenuti nella sede dei servizi segreti egiziani, lasciano intendere che in realtà un qualche progresso negoziale sembrava a portata di mano fino a poche ore fa. E che gli stessi israeliani avrebbero offerto la propria disponibilità all’attenuazione dell’embargo, ma chiesto di mantenere un controllo sull’import di materiali di costruzione e rivendicato di poter chiudere i valichi in ogni momento in cui la propria sicurezza fosse messa in pericolo. I colloqui si sarebbero comunque arenati sul tema rovente del porto commerciale, sul quale Israele non avrebbe voluto assumere impegni a ‘tempo determinato’ come chiesto dai palestinesi. In un estremo tentativo di garantire la pace, la comunità internazionale, dall’Onu all’Ue, ha manifestato la propria disponibilità a garantire il controllo dei valichi come l’accesso dei materiali.

Gli Usa, ha scritto l’israeliano Ynet, avrebbero messo sul piatto un piano per “demilitarizzare de facto” Hamas, impedendo il riarmo del movimento integralista. Ma non è bastato. A parlare ora sono le armi.