Caso Ifil-Exor: ribadita la richiesta di condanna per Gabetti

Pubblicato il 5 Novembre 2010 - 19:18 OLTRE 6 MESI FA

La Procura di Torino ha ribadito le richieste di condanna al processo per l’equity swap di Ifil-Exor. Le pene proposte dal pm Giancarlo Avenati Bassi restano dunque 2 anni e 6 mesi per Franzo Grande Stevens, 2 anni per Gianluigi Gabetti e 1 anno e 6 mesi per Virgilio Marrone.

Le condanne, per il reato di aggiotaggio, erano già state chieste il 7 gennaio. Il tribunale di Torino, però, anziché pronunciare la sentenza aveva ordinato una perizia super partes. Alla luce dei risultati del lavoro degli esperti nominati dai giudici, il pm Avenati Bassi è rimasto sulle proprie posizioni.

Il processo ruota attorno alla complessa operazione finanziaria che nel settembre del 2005 permise all’Ifil di mantenere il controllo della Fiat. Al vaglio dei giudici c’è però un solo aspetto della vicenda. Il comunicato con cui Torino, il 24 agosto di quell’anno, rispondendo a un quesito della Consob informava che non erano in programma e nemmeno allo studio iniziative sul titolo Fiat. Affermazioni che la Procura di Torino ritiene non veritiere.

Il pm Giancarlo Avenati Bassi al processo Ifili-Exor ha sottolineato più volte, nel corso del suo intervento, che le conclusioni di uno dei consulenti della difesa – in merito all’effetto che il comunicato ebbe sull’andamento del titolo – sono state ”falsate da un grossolano errore” di calcolo. Un errore che, peraltro, lo stesso consulente ha ammesso all’udienza del 29 ottobre, dedicata alla discussione della perizia.

L’equity swap era stato stipulato nel febbraio del 2005 con Merryl Linch. Il 20 settembre, in prossimità della scadenza del convertendo con le banche, Ifil riscattò le azioni con 525 milioni di euro, e questa operazione le permise di restare con il 30% delle azioni Fiat.

Al processo, Gabetti ha spiegato che in questo modo si impedì a gruppi estranei (”i corsari” della finanza) di prendere il controllo dell’azienda. ”Il comunicato in questione non era idoneo a turbare il mercato”: questa è stata la replica di uno degli avvocati difensori, Marco Ferrero, che ha respinto l’accusa di aggiotaggio.

”La volontà di conservare il controllo di Fiat, ribadita dal comunicato, non comportava di per sé alcun acquisto di titoli Fiat sul mercato. Infatti il contratto originario del prestito convertendo stabiliva l’obbligo di offrire proporzionalmente agli azionisti di Fiat i titoli rivenienti dalla conversione del prestito. Qualora Consob avesse bocciato la possibilità di utilizzare lo strumento dell’equity swap, l’Ifil avrebbe comunque potuto conservare il 30% di Fiat sottoscrivendo la quota di propria pertinenza, a un costo maggiore (circa 550 milioni di euro), ma senza dover intervenire sul mercato”.

”Gli stessi periti – ha concluso Ferrero – hanno riconosciuto che alla data del 24 agosto non sarebbe stato possibile diffondere un comunicato perfetto, cioè completo di tutte le informazioni diffuse poi a settembre”.

Nel fascicolo processuale non entreranno le carte relative a un’inchiesta interna della Consob su una vasta operazioni di borsa che riguardò il titolo Fiat qualche settimana prima dell’emissione del comunicato: un trader on line, con l’intermediazione della Bregliano Sim, riuscì ad effettuare, nel giro in pochissime sedute, a luglio, acquisti e vendite di azioni per un volume pari al 10,5% del capitale sociale. L’investitore risiede a Genova ed è già stato ascoltato dai funzionari del comitato di controllo.

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