Affitto e lavoro: a Milano tornano i cartelli “No animali, no stranieri”

Pubblicato il 4 Dicembre 2009 - 14:21 OLTRE 6 MESI FA

Affittasi appartamento “No animali, no stranieri”. Bar in centro cerca cameriere, “astenersi extracomunitari”. Affitto bilocale in zona Sarpi, “solo italiani, no cinesi”. Sui maggiori portali Internet di compravendita sempre più frequenti annunci come questi, soprattutto se le richieste vengono dall’area milanese.

“Simili inserzioni, fino a qualche mese fa, non esistevano quasi — dice Maurizio Crippa, responsabile dell’orientamento al lavoro della Cgil milanese — ora ne compaiono a decine ogni giorno”.

Crippa, che costantemente scandaglia la rete in cerca di annunci, fornisce una spiegazione del fenomeno, semplice quanto brutale: “Nel montante clima di odio per gli stranieri, il razzismo sembra non avere più bisogno di nascondersi”. Per quanto riguarda le offerte di lavoro, c’è poi l’ influenza della crisi, “che spinge molti a privilegiare gli italiani nelle sempre più rare assunzioni”. E così tornano sul web, questa volta contro gli immigrati, quei cartelli che nella Milano anni Sessanta avvisavano che “non si affitta ai meridionali”. O che in periodi più tristi della Storia vietavano l’ingresso nei negozi “ai cani e agli ebrei”.

Per la segnalazione di simili casi di discriminazione, in città è attivo uno sportello delle Acli convenzionato con l’Unar, l’Ufficio nazionale anti discriminazioni raziali (Unar) della presidenza del consiglio dei ministri. L’avvocato Fiorella Landro, responsabile del servizio legale, spiega: “Nonostante il proliferare di questi annunci, le denunce sono poche, segno che gli stranieri hanno paura a esporsi. Dovrebbero essere gli italiani a chiamare”. Al numero verde nazionale dell’Unar, nell’ultimo anno le presunte discriminazioni “su base razziale” segnalate sono 800, in 320 casi sfociate in procedimenti legali.

Per quanto riguarda l’esplicita esclusione degli stranieri negli annunci di lavoro, invece, il razzismo spesso nasconde un calcolo economico. Per Crippa, “scrivendo “solo italiani”, il datore lancia un messaggio allo straniero: per avere il posto, devi accettare di essere pagato meno”. I casi raccolti da Cgil sono da incubo: lavapiatti cinesi full-time a 500 euro al mese, camerieri nordafricani a 600 euro, commesse moldave che in negozi di abbigliamento guadagnano 750 euro anziché i 1.000 previsti. “Nel caso delle moldave — dice Crippa — l’annuncio era chiaro: non volevano stranieri. Quindi, facendole lavorare, l’azienda ha fatto loro un favore”.

A vietare gli annunci discriminatori è il decreto legislativo 215 del 2003, che introduce “la parità di trattamento, indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica”. Se il cittadino che fa l’annuncio non rischia nulla dal punto di vista legale, la norma obbliga invece chi pubblica le inserzioni a pagare risarcimenti. Il primo processo è in corso a Roma: su segnalazione dell’Unar, l’unione forense per la tutela dei diritti dell’uomo ha avviato una causa civile nei confronti del giornale di annunci Portaportese, che aveva pubblicato segnalazioni come “non si affitta a persone di colore” e “solo studentesse italiane”.

La sentenza, attesa entro un anno, è destinata a fare scuola. “Abbiamo chiesto di condannare il direttore del giornale a un risarcimento, e i soldi saranno poi spesi in campagne contro la discriminazione — dice l’avvocato Antongiulio Lana, che segue la pratica — ma l’importante è che la sentenza metta un freno a una pratica discriminatoria che è sempre più evidente”.