ROMA – Aumento dell’Iva nel 2019? Non è più da escludere, perché alla manovra che piacerebbe a Lega e M5s servono soldi, un sacco di soldi: 25 miliardi di euro, a occhio e croce. Perché flat tax e reddito di cittadinanza sono i cavalli di battaglia con cui Salvini e Di Maio hanno spopolato in campagna elettorale, dunque l’imperativo (nonostante i dubbi del ministro dell’Economia Tria) è di trovare quei soldi [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play]. Uno dei modi per recuperare denaro è lo stop al bonus Renzi, quello degli 80 euro in busta paga.
E l’aumento dell’Iva (una clausola di salvataggio inserita nelle passate leggi di bilancio) che tanto spaventa consumatori ed esercenti potrebbe diventare realtà. Il teorizzatore di questa soluzione (secondo quanto scrivono Roberto Giovannini e Ilario Lombardo sulla Stampa) è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti. Leghista sì, ma molto più pragmatico e meno populista di altri suoi colleghi. Perché Salvini (come Di Maio) continuano a escludere un aumento dell’Iva: sanno bene che i loro elettori non sarebbero contenti (per usare un eufemismo) di una cosa che andrebbe a incidere in maniera così netta nella vita di tutti i giorni.
“Temo tutto e non temo nulla. Di certo non sarà una manovra scriteriata”. Al termine della conferenza stampa a Palazzo Chigi il premier Giuseppe Conte, con la legge di bilancio alle porte, sembra avere ben presente i paletti che potranno frapporsi agli obiettivi di M5S e Lega: dalle oscillazioni agostane dello spread alle “sentenze” delle agenzie di rating fino al nodo delle risorse.
Ed è proprio su quest’ultimo punto che, prima di salutarsi per la pausa estiva, Conte organizza un vertice a Palazzo Chigi con l’intenzione di assegnare “i compiti a casa” ai ministri che, a fine agosto, torneranno con una duplice indicazione: dove si può tagliare all’interno del loro dicastero e quanto costa il progetto che vogliono inserire nella legge di bilancio.
Il clima, in quello che di fatto è l’ultimo giorno di lavoro del governo al suo completo, è buono ma forse potrebbe essere migliore. Il nodo Rai rischia di corrodere il filo del dialogo politico tra M5S e Lega, con l’interlocuzione tra quest’ultima e Silvio Berlusconi ancora al palo. C’è un problema politico, ma con questa situazione le nomine si fanno lo stesso, magari non quelle più importanti, spiega un alto esponente leghista dando l’impressione che, su Marcello Foa, Matteo Salvini non ha alcuna intenzione di cedere.
Salvini, inizialmente non previsto al vertice sulla manovra (lo schema avrebbe dovuto includere Conte, il vicepremier Luigi Di Maio, il ministro del Tesoro Giovanni Tria e il ministro per gli Affari Ue Paolo Savona), arriva a Palazzo Chigi verso le 18, con passo deciso e volto un po’ scuro. E a irritarlo, forse, sono state anche le parole del ministro degli Esteri Enzo Moavero sui migranti, specchio di un governo che, su immigrazione e grandi opere ha più anime, molto distanti. Il secondo vertice sulla legge di bilancio è allargato anche ad altri ministri, come Erika Stefani degli Affari Regionali o la titolare del Sud Barbara Lezzi, detentrice di una fetta dei fondi europei assegnati all’Italia. Obiettivo della riunione è infatti innanzitutto valutare i contributi dei ministeri alla spending review.
La ragione? Per la manovra che hanno in mente Salvini e Di Maio servono almeno 25 miliardi. Miliardi che, al momento, non è facile trovare. Anche per questo, nel governo, a microfoni spenti si continua a non escludere un aumento, almeno parziale, dell’Iva. Non è solo l’Ue a chiederci di alzare la tassazione indiretta…, spiega una fonte d’alto rango dell’esecutivo lasciando cadere, tuttavia, la decisione sull’Iva almeno in settembre. Mese nel quale la dialettica tra Conte, Tria, Di Maio e Salvini arriverà al dunque, con questi ultimi due disposti ad andare allo scontro frontale con l’Ue per avviare, almeno, i provvedimenti “bandiera” del reddito di cittadinanza e della flat tax. Meno chance, al momento, sembra avere la riforma della Fornero la cui assenza potrebbe essere bilanciata dalla riforma “quota 100”.
Il gioco di “do ut des”, insomma, è appena iniziato con Di Maio che guardare anche le sensibilità del suo elettorato, più etoregeno di quello leghista. E non è un caso che oggi, su Repubblica, sia il presidente della Camera Roberto Fico a rilanciare alcuni cavalli di battaglia del Movimento delle origine, a partire dal “No Tav”. Ma il suo, più che un intervento anti-Di Maio appare come un’azione parallela, mirata ad abbracciare quella parte di militanti che, delusi dalle azioni del governo su migranti e Grandi Opere, potrebbero abbandonare la loro “casa madre” alle prossime Europee.