Per chi suona la campana della crisi? Anche per te che “non c’entri”.

Pubblicato il 5 Febbraio 2010 - 15:42| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Tremano e calano le Borse? La notizia non fa un baffo al 99,9 per cento della gente. Gente che in Borsa i suoi soldi non li mette da tempo. Aumenta il “rischio sovrano”, cioè il rischio che gli Stati siano troppo indebitati? La notizia lascia freddo il novanta per cento della gente. Gente che ritiene il bilancio pubblico “affar loro” e non cosa che li riguardi direttamente. Giornali e Tg titolano “Venti di crisi”? La reazione di massa è: “Sì? La vita continua lo stesso, con i suoi soliti spifferi, magari anche gelidi, ma che c’entriamo noi con la finanza?”. Figurati poi che “c’entriamo” con il Portogallo che non piazza sul mercato i suoi titoli, con la banca spagnola Santander che è esposta per 320 miliardi sul mercato immobiliare, con la Grecia, la Lettonia…

Proviamo a spiegare cosa succede e perché, purtroppo, “c’entriamo”. Nel 2008 e ancora nel 2009 l’intero sistema finanziario e del credito viene a trovarsi in una situazione di bancarotta: le più grandi banche del mondo, compresa probabilmente la vostra, quella dove avete un semplice conto corrente, hanno “in pancia” montagne di crediti di fatto inesigibili, soldi che i debitori non sono in condizione di pagare. Succede perché hanno prestato troppo e con pochissime garanzie, succede perché hanno puntato a trasformare milioni di consumatori in debitori, succede perché hanno lavorato sull’ipotesi che il debito sommato al debito, moltiplicato per il debito, generasse ricchezza. Si chiamano “bolle” e la bolla esplode: le banche, anche la vostra, potrebbero fallire, chiudere e rispondervi: “Ripassi, oggi non c’è un euro” se voi foste andate a ritirare contanti. Il fallimento, non solo delle banche ma di tutta l’economia, lo smontaggio dell’ordine e della sicurezza sociale vengono evitati solo perché gli Stati e i governi emettono un planetario e gigantesco “Pagherò”. Garantiscono loro per le banche, danno loro alle banche i soldi che le banche “in pancia” potrebbero non avere più.

Il mondo evita il fallimento, di questo e non di altro si trattava. Ma ovviamente non lo evita gratis. Da dove li prendono Stati e governi i soldi per garantire e finanziare le banche? Non li coltivano nei campi e neanche li stampano in tipografia. Li prendono a debito, andando in deficit su base annuale e alzando la percentuale del debito rispetto alla ricchezza prodotta. Deficit e debito che contano prima o poi di poter ripagare, altrimenti, alla lunga, saranno loro a trovarsi nella condizione in cui erano le banche che hanno salvato, nella condizione di non potere più pagare, anche le vostre cedole sui Bot, anche il vostro stipendio o pensione, anche i costi del vostro ospedale o scuola.

Perché Stati e governi possano ridurre deficit e debito occorre che l’economia complessiva torni a produrre ricchezza, il famoso Pil. Solo se c’è quota crescente di ricchezza prodotta una parte di questa può essere destinata a pagare deficit e debito. La quota minima di aumento della ricchezza sufficiente e necessaria per recuperare un po’ dei posti di lavoro perduti e per iniziare a ripagare il debito è tre cento. Più tre per cento di Pil. L’Europa però viaggia abbondantemente sotto questa quota. E quindi, se non c’è e neanche si intravede quel tre per cento, il dubbio che Stati e governi non ce la facciano diventa meno soldi prestati a Stati e governi o soldi prestati a tassi più alti. Alla lunga diventa bancarotta di Stato, lo Stato non paga più, anche il vostro.

Prima di affogare nella bancarotta gli Stati e i governi possono fare un altro paio di cose, entrambe pericolose e dolorose. Possono aumentare le tasse, ma, se lo fanno, si giocano il consenso e una quota di Pil, cioè di ricchezza in via di produzione. Possono dar via libera all’inflazione che riduce il valore reale della moneta e quindi anche del loro debito. Ma, se lo fanno, si giocano forse la stessa democrazia. Stati e governi, soprattutto d’Europa, sono ancora relativamente lontani da queste alternative del diavolo e sono ancora molto distanti dalla bancarotta. Ma, se il deficit annuale è al dieci per cento, il debito al cento per cento del Pil e la “ripresa” è un per cento, allora è verso il “default” che pian piano si scivola.

Nel frattempo il sistema del credito, le finanziarie, le banche danno una mano nella discesa: incassano i soldi di Stato al tasso di interesse dello 0,5 per cento e ci comprano titoli di Stato all’un per cento di rendita. Fanno finanza e non investono, non prestano, non rischiano. Così tirano giù nella discesa Stati e governi. Pochi investimenti, poca produzione, poca ricchezza prodotta, meno posti di lavoro e salari. E’ questo il circolo altamente vizioso. Nessuno l’ha spezzato finora e il circolo, lentamente anche se non inesorabilmente, si stringe. Anche intorno a te che pensi, sbagliando, “Sì, ma io che c’entro'”.